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la road map

Il paradosso della missione vaticana per fermare la guerra

La strategia delineata dalla Santa Sede non coincide con gli obiettivi di Kyiv. E questo è un problema

Matteo Matzuzzi

Il cardinale Zuppi sarà inviato per "cercare di togliere tutti gli ostacoli", ma dall'Ucraina hanno fatto già sapere che il Vaticano deve promuovere "il ritiro delle truppe russe". Altrimenti, nessun passo avanti

Non è una missione che abbia “come obiettivo immediato la mediazione” fra le parti in guerra. A chiarirlo è stato il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin, a margine di un evento a Roma, domenica. “Cercare di togliere tutti gli ostacoli” per “arrivare a un cessate il fuoco e al negoziato”. Nella più che rigorosa riservatezza propria dell’agire diplomatico vaticano, Parolin aggiunge, un giorno dopo l’altro, tasselli utili a delineare i contorni della “missione” vaticana affidata al cardinale Matteo Zuppi pur sotto il controllo – “d’intesa”  (sic) – con la Segreteria di stato. Parolin, eminente allievo della scuola casaroliana, è un realista e ammette che non si ha alcuna pretesa di “arrivare a creare le condizioni per la pace”. L’obiettivo è, per ora, quello di creare “un clima favorevole” affinché, in un futuro più o meno vicino, si possano porre le basi per qualcosa di più concreto. Il segretario di stato non a caso parla di “speranza”, lasciando intendere che la strada è più che mai stretta e che i canali di didalogo non è che si siano intensificati in quest’ultimo anno. Paradossalmente, ed è questo il punto che non pochi diplomatici vaticani hanno ben chiaro, l’azione della Santa Sede rischia di rendere ancora più evidente la distanza che sussiste – in questo momento – fra Roma e l’aggredito (Kyiv). E questo perché l’Ucraina non può accettare di cedere nulla sul terreno di un ipotetico negoziato. La leadership di Kyiv l’ha detto in un modo che più esplicito non si potrebbe: “Se il Vaticano promuoverà il ritiro delle truppe russe dal territorio dell’Ucraina, chiederà l’accesso e il ritorno dei prigionieri militari e civili ucraini e dei bambini rapiti, allora accoglieremmo con favore tale iniziativa. Se invece la Santa Sede ha una visione diversa, purtroppo, non farà che approfondire la crisi e provocherà ulteriori azioni aggressive da parte della Russia”, ha detto qualche giorno fa al Corriere della Sera Mykhailo Podolyak, consigliere di Zelensky. 

 

E’ evidente che a Kyiv sospettano che la “visione” del Vaticano sulla questione sia proprio quest’ultima, e a rafforzare tale convinzione c’è l’apertura – in realtà assai tiepida e pro forma di Mosca – all’azione del Papa, e soprattutto le voci circa la volontà di Roma di aprire un canale di confronto anche con attori “terzi” ma quantomai coinvolti, dagli Stati Uniti al Brasile, forse anche alla Cina. In Ucraina si teme che il lavorio diplomatico passi sopra le loro teste. Ed è questa la prima e ingombrante mina piazzata sul terreno della “missione” che guiderà Zuppi. I paragoni con quanto avvenne nel 2003 per scongiurare l’attacco occidentale in Iraq – Giovanni Paolo II spedì i cardinali Pio Laghi a Washington e Roger Etchegaray a Baghdad – non hanno alcun senso e poco ci dicono su questo particolare momento storico: allora si trattava di evitare una guerra, raffreddando la determinazione di George W. Bush e cercando di portare a più miti consigli il rais iracheno. Stavolta la guerra c’è già, si combatte da più di quindici mesi e i morti sono migliaia. Kyiv le sue richieste per dare credito alla Santa Sede le ha fatte e ribadite in modo esplicito, fino al punto da non salvare neppure le apparenze nel commentare il colloquio (assai scarno di risultati) tra il Pontefice e Zelensky. Mosca attende e non ha bisogno di fare altro: dopotutto, il Papa ha fatto intendere in più d’una occasione di non nutrire troppa simpatia per il bellicismo occidentale e anche pochi giorni fa, in una nuova intervista (stavolta all’americana Telemundo) ha detto che “gli ucraini non sognano le mediazioni perché il blocco ucraino è davvero molto forte. Tutta Europa e Stati Uniti. In altre parole, hanno una forza propria molto grande. No?”.

 

Il punto, dopo più di un anno di conflitto, è tirare le somme di questa “postura”: ha prodotto risultati tangibili? Al di là delle cortesi aperture delle Parti in causa, di risultati ce ne sono stati ben pochi, ma era pura utopia pensare che un intervento del Papa di Roma potesse far tacere le armi nel groviglio di nazionalismi religiosi che si affrontano sul terreno, la bandiera in una mano e la croce nell’altra. E’ anche per questo che la missione del cardinale Zuppi è estremamente complicata, paragonabile – date le condizioni attuali, sempre modificabili – a quei giri di consultazioni quirinalizie atte solo a certificare lo stallo che porta allo scioglimento delle Camere. L’unica possibilità per “rimuovere gli ostacoli” sembra essere la richiesta a quello stesso blocco “forte” affinché allenti il sostegno – soprattutto il rifornimento di armamenti – a Zelensky. C’è da dubitare che a Kyiv una tale prospettiva possa essere presa in considerazione.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.