Foto di Marco Rosi, via LaPresse 

il commento

Nel giorno dell'addio a B-XVI, le virtù ritrovate dell'occidente sono il vero miracolo

Claudio Cerasa

Il Papa emerito le ha sempre invocate: forza e libertà. La differenza con Francesco è nel senso di colpa del mondo occidentale verso se stesso. Il 2022: un anno che dà ragione alla lezione ratzingeriana

Per uno strano caso del destino la morte di Benedetto XVI, che a differenza del suo successore è stato un formidabile teorico della difesa dell’occidente, si è verificata in un momento storico in cui, come per magia, l’occidente che Benedetto XVI vedeva debole, fiacco, fragile, assediato e vulnerabile ha mostrato improvvisamente tutte le sue virtù. Per uno strano caso del destino, la morte di Benedetto XVI, che durante la sua esistenza ha cercato in tutti i modi di ricordare all’occidente in che modo combattere i suoi nemici, sia quelli interni sia quelli esterni, si è verificata in un momento storico in cui (a) gli astri dell’occidente, di fronte alle minacce esterne, si sono improvvisamente allineati e in cui (b) i nemici dell’occidente, improvvisamente, hanno mostrato tutte le loro vulnerabilità.

Da questo punto di vista, i sontuosi funerali di Benedetto XVI potrebbero essere ricordati non solo per la loro solennità ma anche per il loro significato storico. E in un certo senso non ci poteva essere momento migliore di questo per mostrare a Benedetto XVI l’attualità di una sua grande lezione culturale prima ancora che teologica: smetterla di coltivare il senso di colpa dell’occidente e iniziare a non vergognarsi più della grande forza che l’occidente può sfoderare nel difendere le nostre libertà.

Sotto questa prospettiva, il 2022 è stato senz’altro un anno in cui l’occidente, come si augurava Ratzinger – che contro i nemici dell’occidente, nemici che spesso coincidono con i nemici del cristianesimo, ha combattuto formidabili battaglie culturali – ha riscoperto improvvisamente tutta la sua forza e ha iniziato a farlo proprio nei mesi successivi all’invasione della Russia in Ucraina. E in dieci mesi, se si sceglie di mettere diligentemente insieme tutti i puntini, c’è da rimanere sbalorditi. La Nato, dacché era considerata “clinicamente morta”, copyright di Emmanuel Macron, ha mostrato tutta la sua forza e ha aperto le porte anche a nuovi paesi, come la Svezia e la Finlandia.

Gli stati europei, tradizionalmente restii a utilizzare le armi per difendere la libertà dell’Europa, hanno scelto di assecondare la richiesta della Nato di aumentare la quota di pil destinata alle spese militari. Paesi tradizionalmente non bellicisti come Germania e Francia hanno accettato di inviare armi pesanti all’Ucraina. Paesi neutrali come la Svizzera hanno scelto di schierarsi a favore delle sanzioni contro la Russia. Paesi ambigui come la Turchia hanno scelto di schierarsi dalla parte dell’occidente nella difesa dell’Ucraina dall’aggressione della Russia, inviando armi contro Putin, e alle Nazioni Unite i paesi che hanno votato contro la risoluzione con cui l’Onu, il 14 novembre, ha condannato la Russia sono stati soltanto Bielorussia, Iran, Corea del Nord, Bahamas, Cuba, Repubblica Centrafricana, Eritrea, Etiopia, Mali, Nicaragua, Siria e Zimbabwe. Paesi neutrali ed esterni all’Unione europea come la Norvegia, ancora, hanno scelto di sostenere lo sforzo dell’Unione europea nell’armare la resistenza dell’Ucraina, cosa che hanno fatto anche Irlanda e Austria che, come ha ricordato recentemente sul nostro giornale David Carretta, non hanno opposto obiezioni agli aiuti militari dell’Ue (attraverso la Peace facility) all’Ucraina.

L’Unione europea, nonostante tutto, è poi riuscita ad approvare la bellezza di nove pacchetti di sanzioni contro la Russia, sempre all’unanimità e sempre portando dalla propria parte i cavalli di Troia del putinismo in Europa, come l’Ungheria di Viktor Orbán. E la stessa Unione – che nel frattempo ha concesso a Ucraina e Moldavia lo status di paese candidato all’ingresso nell’Ue dopo aver rilanciato il processo di allargamento ai Balcani occidentali aprendo contestualmente negoziati con Albania e Macedonia del nord e concedendo lo status di candidato alla Bosnia Erzegovina – è riuscita a intraprendere un percorso rapido per liberarsi dalla sua dipendenza dal gas e dal petrolio russo.

Contemporaneamente, l’Europa ha trovato preziose fonti di rifornimento energetico in America, attraverso il gas naturale liquefatto, e ha visto via via crollare tutti i progetti politici che puntavano a un indebolimento della stessa Unione (e la stessa Brexit non si può dire che si stia trasformando, per i nemici dell’Ue, in una vetrina positiva per mostrare le meraviglie di un mondo senza Europa). Contestualmente, infine, i grandi nemici dell’occidente, giorno dopo giorno, hanno prestato il fianco agli amici dell’occidente e della libertà. In Cina, l’occidente unito è schierato a favore di Taiwan e la decisione del presidente cinese, Xi Jinping, di usare la politica dei lockdown per nascondere la scelta fallimentare di rifiutare i vaccini occidentali ha messo di fronte al regime cinese una prospettiva inedita: la necessità di cambiare linea politica (stop lockdown) per paura di non saper gestire le possibili rivolte interne.

Allo stesso tempo, a proposito di difesa della libertà, è possibile che Benedetto XVI, che fu anche il Papa che denunciò a Ratisbona le efferatezze compiute dall’islamismo radicale, abbia osservato con soddisfazione i moti di rivolta verificatisi negli ultimi mesi in Iran contro il regime islamista degli ayatollah – moti che, seppure in forme diverse, non è escluso che possano andare presto a manifestarsi anche contro un altro uomo forte come Erdogan, il cui mito dell’efficienza autocratica è stato messo a dura prova da una grave crisi economica, che con un’inflazione che viaggia all’86 per cento rischia di compromettere la rielezione alla presidenza.

Benedetto XVI, per molto tempo, ha guardato l’Europa immaginandola come un continente malato, destinato al collasso, e ha mostrato grande preoccupazione anche per l’incapacità dei laici di non rendersi conto di quanto la difesa dell’Europa, e dell’occidente, fosse direttamente legata alla difesa anche della cristianità. Nel giorno del suo addio, nel giorno dell’addio di un uomo che ha dedicato la sua vita alla difesa della fede e dell’occidente, si può dire però che – tranne nella Chiesa del successore di Benedetto XVI, quel Papa Francesco che il senso di colpa dell’occidente più che combatterlo tende spesso ad alimentarlo – mai come oggi l’occidente è consapevole della sua forza.

E ricordarlo nella giornata dell’addio a Benedetto XVI può essere un modo per notare, persino con un sorriso commosso, che quel mondo libero, ed europeo, che B-XVI vedeva debole, fiacco, fragile, assediato e vulnerabile ha mostrato improvvisamente tutte le sue virtù e ha miracolosamente trovato dentro il suo corpo la forza giusta per combattere uno dei virus più pericolosi della modernità: il senso di colpa dell’occidente e la sua incontenibile tentazione di demonizzare se stesso.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.