(foto LaPresse) 

Lo schiaffo americano al Papa

L'elezione di mons. Broglio alla presidenza dell'episcopato certifica il fallimento del tentativo di cambiare la Chiesa statunitense

Matteo Matzuzzi

Pronostici rispettati, ma la distanza fra i vertici della Chiesa americana e il pontificato di Francesco si fa sempre più larga. Il candidato dei liberal ha ottenuto 37 voti su quasi 250. 

Roma. L’elezione di mons. Timothy  Broglio a presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti certifica il fallimento del tentativo di dare un nuovo orientamento all’episcopato americano, per due decenni dominato dai conservatori muscolari, protagonisti della stagione delle culture war. Non c’era candidato più a destra di Broglio, eccezione fatta per mons. Salvatore Cordileone, che però non è mai stato davvero in gioco. Il neoeletto ha stravinto:  73 voti al primo scrutinio, 114 al secondo, 138 al terzo. Per chiarire il quadro, basti sapere che il secondo classificato (poi eletto vicepresidente), mons. William Lori, ha ottenuto 37, 45 e 99 consensi. I votanti sono stati fra i 235 e i 242. Il candidato dell’ala liberal, mons. Paul Etienne, si è fermato a 30 e 37 voti. Il risultato era prevedibile, Broglio era il favorito anche perché segretario generale uscente e dunque conoscitore della macchina. E’ stato nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana e delegato a Porto Rico ed è considerato il vescovo che più conosce la curia romana per averla frequentata e non in una posizione defilata: era il segretario del cardinale Angelo Sodano, segretario di stato. Proprio questo particolare è stato subito posto in evidenza da chi ha definito la sua elezione un affronto a Papa Francesco: era proprio il caso di portare alla presidenza dell’episcopato uno stretto collaboratore di colui che è stato  un “convinto promotore e difensore dell’allora padre Marcial Maciel Degollado, abusatore sessuale seriale e fondatore dei Legionari di Cristo?”. In queste ore, poi, sono state recuperate affermazioni in cui l’eletto avrebbe legato lo scandalo degli abusi a tendenze omosessuali dei sacerdoti nonché prese di posizione vicine alla realtà dei No vax. Non a caso, Vatican News ha scritto che “come ordinario militare, durante la recente pandemia di coronavirus, ha sostenuto l’esenzione dal vaccino per i membri dell’esercito per motivi di obiezione di coscienza”.  Un profilo giudicato talmente spostato a destra che i critici di Broglio hanno definito “moderato” il nuovo vicepresidente Lori, che per anni è stato un convinto sostenitore delle guerre culturali.

 

Dopo dieci anni di pontificato e di chiari inviti a cambiare prospettiva – è sufficiente ricordare il discorso che Francesco fece nella cattedrale di San Matteo a Washington, il 23 settembre del 2015 in cui chiese di non fare della croce “un vessillo di lotte mondane” – si è al punto di partenza. Nessuno degli uomini di punta scelti da Francesco per guidare la Chiesa americana è stato incluso nella lista ristretta dei dieci candidati alla presidenza: nessuno dei cardinali di nomina bergogliana ha ottenuto il placet dei confratelli, né Blase Cupich né Joseph Tobin, tantomeno Wilton Gregory e Walter McElroy. E anche i candidati di mediazione, quelli con il profilo più sfumato e capaci in teoria di convogliare un certo consenso, sono rimasti al palo: mons. Daniel Flores, vescovo della diocesi texana di Brownsville e capo della commissione per la Dottrina, non è andato oltre i 18 voti. Il fatto che Flores sia il responsabile del processo sinodale in terra americana fa capire che non sono attesi grandi passi in avanti su questo terreno. Segretario generale, al posto di Broglio, è stato eletto mons. Paul Coakley, un altro conservatore di stampo ratzingeriano e vicino a Communio, che ha sconfitto il cardinale Tobin.

 

Cos’è dunque successo? Dieci anni di pontificato non sono pochi e Francesco li ha impiegati anche per cercare di orientare su precise frequenze l’episcopato americano. Ha cambiato il nunzio, nominandone uno di fiducia, ha proceduto a un ricambio consistente dei vescovi. Ha consegnato la berretta rossa a uomini che condividono la sua “agenda” e i suoi piani per realizzare la Chiesa in uscita così come indicato fin dal momento dell’elezione nel marzo del 2013. I risultati non solo non si vedono, ma paradossalmente la compagine fedele alle battaglie per i princìpi non negoziabili si è rafforzata. Non ne sarà felice neppure il presidente Joe Biden, il cattolico della East coast che ha deluso Francesco pur non volendo muri al confine con il Messico. Con i nuovi vertici della Conferenza episcopale, i rapporti saranno probabilmente ancora più tesi, anche perché manca poco all’inizio dei giochi che porteranno alle elezioni presidenziali del 2024. Un appuntamento che vedrà l’episcopato più agguerrito e interessato che mai.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.