(foto LaPresse)  

Perché la Chiesa non ha pregiudizi su Giorgia Meloni

Le gerarchie guardano con curiosità alla leader di Fratelli d'Italia. C'è un'apertura di credito: "Non è mica Salvini"

Matteo Matzuzzi

Rapporti, referenti, avvicinamenti. Meloni sta costruendo, in silenzio, un terreno d'intesa con il mondo cattolico. Niente rosari né madonne ostentate, meglio coltivare le intese dirette con chi conta

Giorgia Meloni non è Matteo Salvini. Almeno così si pensa nelle stanze delle alte gerarchie ecclesiastiche che attendono, più curiose che preoccupate, le elezioni politiche del prossimo 25 settembre. La consegna è quella di mantenere un profilo basso, niente benedizioni a questo o a quel leader politico (ma a ben pochi sarebbe venuto in mente di farlo), dichiarazioni centellinate e solamente da chi ha i titoli per farlo (il presidente della Cei, ad esempio, e il segretario di stato). Niente endorsement, ovviamente. La prospettiva della vittoria della leader di Fratelli d’Italia non coglie impreparata la Chiesa cattolica, che avrebbe avuto più di un pensiero invece se al posto di Meloni ci fosse stato Salvini. In Vaticano si sottolinea la differenza fra i due: se il primo ama farsi fotografare attorniato da Rosari e icone posticce della Madonna quasi fossero gli adesivi della squadra del cuore che da ragazzi tappezzavano la cameretta, Meloni ha scelto di non mostrare nulla. Sì, c’è stato l’“io sono cristiana”, detto nel celebre comizio divenuto oggetto di meme sui social, ma oltre a quello nessuna ostentazione artefatta della propria fede religiosa. E questo è stato apprezzato. La presidente di FdI viene descritta da chi la conosce come una “che si ritiene parte della Chiesa, rispettosissima di Papa Francesco anche quando magari non comprende o condivide certe sue dichiarazioni o atti”. Soprattutto, quando non la pensa come lui non lo dice. E se il Pontefice prova fastidio rispetto a Salvini – si racconta l’aneddoto di quando, terminato il funerale del cardinale Achille Silvestrini, s’informò se l’allora ministro dell’Interno fosse presente in San Pietro, perché in quel caso non l’avrebbe ricevuto in sacrestia – in Segreteria di stato si mostra pragmatismo nei riguardi di Meloni. A tenere i contatti con il Palazzo apostolico è Guido Crosetto, che ha rassicurato tutti coloro che dovevano essere rassicurati sulla “non pericolosità” della possibile futura premier. E così si è fatto anche con il cardinale Zuppi, presidente della Cei, le cui porte sono aperte a tutti quelli che vogliono bussarvi.

 

A Meloni si vuole dare credito, l’atteggiamento è aperto e si ricorda che anche all’opposizione l’atteggiamento è stato responsabile, molto di più di certi partiti e leader che il governo invece lo sostenevano. E, al di là delle posizioni più o meno ufficiali, il filoatlantismo meloniano di certo non dispiace: meglio essere dalla parte dell’occidente – si nota – che ammiccare a regimi che invadono paesi sovrani. 
La scelta della leader di FdI è stata opposta rispetto al suo “compagno” di coalizione Salvini: se questi ha fatto dell’ostentazione della fede religiosa una bandiera, fra croce appesa al collo, francescanesimo reinterpretato a modo suo, madonne e rosari, lei parla pochissimo di religione. Si ritiene parte della Chiesa ma più che l’esibizione di simboli preferisce – ben consigliata e più saggiamente – costruire un rapporto dal basso con il popolo credente. Operazione che però non si fa dall’oggi al domani e che, si nota, fino a poco tempo fa non rientrava nei programmi di Fratelli d’Italia e tanto meno del suo stato maggiore. Attenzione quindi ai movimenti ecclesiali (l’applausometro di Rimini, al Meeting, parla chiaro), rapporti sempre più stretti con la galassia pro life e con uno dei suoi leader più noti, il padre del Family Day, il neocatecumenale Massimo Gandolfini, che già tre anni fa, a margine dell’evento “Più famiglia, più Italia”, disse senza troppe perifrasi: “Noi riconosciamo che Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni stanno portando avanti una politica a vantaggio della famiglia, per la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e per la libertà educativa dei genitori”. 

 

Dove Meloni difetta è nei rapporti con i vescovi italiani, assai scarsi, anche quanto a semplice conoscenza degli uomini a capo delle diocesi. Un terreno, questo, ben poco coltivato. Di certo, rispetto al passato, è più complicato farsi strada, sia per i mutamenti nel panorama episcopale italiano (si faticherebbe a trovare presuli disposti, pubblicamente, ad appoggiare un partito di destra), sia perché pochi sono stati i punti di contatto tra i rappresentanti della Cei e Fratelli d’Italia nel corso degli anni. Non è detto, però, che questa mancanza sia uno svantaggio. Si è detto appunto della curiosità delle gerarchie verso Meloni, cosa ben diversa dal pregiudizio nutrito e manifestato verso il leader della Lega.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.