(foto Ansa)

C'è un danno alla reputazione della Santa Sede. Parla Giovanni Maria Vian

Matteo Matzuzzi

Roma non deve farsi condizionare, "ma certe critiche appaiono fondate". "Il quadro non solo comunicativo del Vaticano è confuso e il giudizio storico difficilmente potrà essere positivo", dice l'ex direttore dell'Osservatore Romano

Sui canali social ucraini si diffondono caricature del Papa che al posto della croce, al petto, porta una “Z”, il marchio dei carnefici mandati a sud da Vladimir Putin. E’ l’effetto, ingiusto, della serie di dichiarazioni fatte a giornali, amici gesuiti, capi di stato e di governo in questi ultimi mesi. Parole fraintese e fraintendibili, da quell’“abbaiare della Nato ai confini della Russia” all’intervento forse “provocato”. Il problema è che pure i russi non sembrano molto soddisfatti di quanto detto da Francesco, a cominciare da quel “chierichetto” con cui ha definito Kirill.

 

Forse, chiediamo al professor Giovanni Maria Vian, storico e già direttore dell’Osservatore Romano, la volontà di mantenere una certa “equidistanza” – pur nella certezza che il responsabile è la Russia di Putin – ha creato un danno alla reputazione della Santa Sede? Temo di sì. E soprattutto c’è da chiedersi quale sarà il giudizio storico; ma non chissà quando, bensì già tra qualche anno, per questa linea che appunto sta scontentando le parti in causa. Non è una novità, e la sede romana certo non deve farsi condizionare nella sua politica, ma proprio uno sguardo alla storia avrebbe aiutato in queste settimane a evitare critiche che appaiono fondate, anche da parte di osservatori non pregiudizialmente avversi, anzi in genere molto favorevoli, al Pontefice argentino. Penso soprattutto al dibattito che continua sui silenzi di Pio XII, denunciati per primo da un cattolico come Emmanuel Mounier già poche settimane dopo l’elezione di Pacelli a proposito del silenzio papale sull’aggressione italiana all’Albania, nell’aprile del 1939, prodromo di una questione storiografica controversa e tuttora dibattuta qual è quella dell’atteggiamento di Papa Pacelli durante il conflitto mondiale e la Shoah. Ed è stato un attentissimo conoscitore dei fatti e dei retroscena vaticani come Luis Badilla, direttore del Sismografo, sito specializzato sempre più imprescindibile, a ricordare le parole di Paolo VI pronunciate il 22 agosto 1968. In partenza per la Colombia il Papa, dolorosamente colpito dall’invasione della Cecoslovacchia e consapevole delle critiche che la sua mano tesa ai regimi comunisti stava suscitando tra molti cattolici, si disse disposto a mutare destinazione per andare a Praga. ‘Ancora una volta la forza delle armi sembra voler decidere delle sorti d’un popolo, della sua indipendenza, della sua dignità’, disse Montini, e aggiunse: ‘Noi non vogliamo giudicare alcuno; ma come non risalire all’analisi dei princìpi, donde simili sventure sembrano naturalmente scaturire?’. Parole chiarissime. I contesti sia esterni sia interni sono molto diversi, ma proprio l’evoluzione della politica internazionale dopo il crollo del comunismo europeo rende ancor di più insopportabile quanto è accaduto e sta accadendo con l’aggressione russa all’Ucraina”.
 

 

Si è  notato un certo disorientamento nelle prese di posizione della Santa Sede. Inizialmente, si registrava la sottolineatura da parte dei media vaticani che comunque la Nato aveva avuto una certa responsabilità nell’allargarsi troppo a est. Poi il segretario di stato sembrava insistere sul diritto alla legittima difesa del popolo ucraino, infine il Papa ipotizzava di nuovo una “colpa” imputabile “all’abbaiare della Nato”. Storicamente, era mai accaduto che la Santa Sede in un contesto così drammatico si esprimesse con così tante voci e non sempre del tutto concordi? “A mia memoria –  dice Vian – no. Una certa varietà è del tutto normale, e nei decenni passati anzi vi era talvolta un’orchestrazione sapiente di voci diverse, mentre altre volte prevaleva il disordine, sino ad arrivare in alcuni casi a chiare dissonanze o sorprendenti cacofonie. Ma in genere la strategia della comunicazione, allora quasi sempre controllata dalla Segreteria di stato in accordo con il Papa, prevedeva questo gioco delle parti con un uso avveduto dei diversi media, oggi di fatto unificati e in ogni caso scavalcati dalle scelte del Papa di servirsi di canali comunicativi esterni alla Santa Sede. Non si può tuttavia escludere che un gioco delle parti sia in atto anche in questi mesi, con interventi di carattere molto diverso tra loro che si succedono, integrandosi e magari tacitamente rettificando affermazioni, calcolate o estemporanee che siano. Da una parte vi è stata infatti la conversazione del Pontefice, non un’intervista, con il direttore del principale quotidiano italiano sul tema della guerra, la cui pubblicazione peraltro è stata autorizzata e che è stata ribadita in un incontro con i responsabili di riviste dei gesuiti; dall’altra ripetute risposte, piuttosto coerenti tra loro e molto calibrate, dei due più alti diplomatici della Santa Sede. Vi sono poi le voci delle periferie, tanto care al Papa, quelle cioè degli episcopati coinvolti in questa tragedia, rilanciate o non rilanciate dai media vaticani, soprattutto quella quotidiana dell’arcivescovo maggiore degli ucraini cattolici di rito greco. Insomma, un quadro, non solo comunicativo, complessivamente confuso e nei confronti del quale il giudizio storico difficilmente potrà essere positivo”.

 

Un passaggio di rilievo si è avuto quando Francesco ha riferito il contenuto del colloquio avuto con il Patriarca Kirill, affermando di avergli detto che non può fare “il chierichetto di Putin”. Affermazioni che, com’era prevedibile, hanno provocato la reazione del Patriarcato. A suo giudizio, è un colpo assestato al dialogo ecumenico? E’ forse il riconoscimento che Kirill non è l’interlocutore che anni fa si riteneva credibile e affidabile tanto da firmare assieme a lui la storica Dichiarazione dell’Avana? A giudizio del prof. Vian, “forse l’intenzione del Papa era una correzione fraterna nei confronti del Patriarca russo. E la sua affermazione, netta sino alla brutalità, esprime un giudizio severo sulla cosiddetta sinfonia, cioè il tradizionale rapporto tra il potere russo e il Patriarcato di Mosca, da sempre fortemente subordinato al sovrano. Una situazione che è stata aggravata e complicata dal settantennio comunista, spietatamente persecutorio, ma poi dagli enormi benefici economici e dai privilegi concessi soprattutto da Putin. Sono ormai noti gli stretti rapporti tra le più alte cariche della gerarchia ortodossa e il potere, anche dell’attuale patriarca, mentre più voci stanno sottolineando il sostegno del patriarcato all’elaborazione dell’ideologia di carattere totalitario del “mondo russo”. Pur ovviamente al corrente di tutto questo, Roma si è mantenuta sulla via del dialogo ecumenico con la Chiesa più numerosa e importante dell’ortodossia. Ma questa realtà, molto articolata, è sempre meno coesa per le scelte divisive ed espansionistiche del Patriarcato di Mosca. E ora l’aggressione russa all’Ucraina, sostenuta apertamente da Kirill, rende tutto ancora più difficile. In una fase già stagnante dell’ecumenismo, questa guerra d’aggressione e i suoi orrori hanno frantumato ulteriormente il mondo ortodosso, in difficoltà da quando nel 2016 la Chiesa russa ha deliberatamente provocato il fallimento dello storico concilio di Creta decidendo di non parteciparvi. Le divisioni tra gli ortodossi ucraini si sono accentuate, e all’interno dello stesso Patriarcato di Mosca la situazione è oscura e risulta ora difficilmente decifrabile anche per gli osservatori più attenti. Che conseguenze avranno infatti la rimozione del potente responsabile delle relazioni estere della Chiesa russa e la sua sostituzione con un giovane prelato fedele del Patriarca sull’evoluzione di questa Chiesa dalla storia dolorosa e drammatica?”.

 

C’è forse anche (e se sì, quanto incide) una sorta di pregiudizio anti americano dovuto alla provenienza culturale latinoamericana del Papa nel giudicare la guerra in corso? “Ovviamente l’origine argentina del Pontefice, il suo carattere, le decisioni personali e il suo modo diretto e immediato di decidere e di comunicare aiutano a spiegare le sue scelte, spesso inusuali. E sulla guerra è inevitabile osservare una sostanziale consonanza dell’opinione del Papa con quella prevalente in molti paesi una volta definiti non allineati. Resta in ogni caso la sua condanna inequivocabile di questa guerra d’aggressione”.
 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.