Gesù va in onda anche “a porte chiuse”. L'unico disturbo sono le telecronache alle messe del Papa

Maurizio Crippa

La Settimana santa iniziata domenica sarà di grande sofferenza per tutti, non solo per i cristiani, ma certamente per loro si aggiunge la pena di dover vivere i sacri riti come un popolo in esilio, attraverso la televisione

Milano. “Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi!’”. Basterebbe il Vangelo di Giovanni (20,26) a certificare che Gesù non si formalizzava della chiusura “delle porte del luogo dove si trovavano i discepoli”, sicuro della capacità della sua Presenza reale di trapassarle. La Settimana santa iniziata domenica sarà di grande sofferenza per tutti, non solo per i cristiani, ma certamente per loro si aggiunge la pena di dover vivere i sacri riti come un popolo in esilio, attraverso la televisione. Eppure le porte chiuse non hanno fermato Gesù, e sulla validità urbi et orbi dei riti celebrati in questa situazione di malati-reclusi si è espressa anche la Congregazione per il Culto divino. Vedere il Papa più di frequente su RaiUno (persino in una incursione al Tg un po’ brunovspiana), vedere le messe celebrate (e molto seguite) su ogni genere di device può essere addirittura uno stimolo, in questi tempi perigliosi e dolorosi, per interrogarsi anche sul famoso valore pubblico della religione. Il problema è semmai, per i cattolici, capire quale tipo di offerta televisiva avranno a disposizione e come scegliere il canale. Perché, con tutta la buona volontà, si tratta pur sempre di una mediazione mediatica del sacro, e la cosa non è indifferente.

   

Detto banalmente. Domenica mattina alle ore 11 il ballottaggio-zapping è stato tra la celebrazione della messa delle Palme officiata da Papa Francesco in San Pietro su RaiUno o una messa meno mediatizzata tra le tante disponibili (da fedele ambrosiano: quella dell’arcivescovo Mario Delpini nel duomo chiuso di Milano). A decidere il ballottaggio, una questione cruciale: se sulla Rai fanno la telecronaca della messa, come si trattasse di una partita di calcio, si cambia canale. Al minuto 1 e 28 della diretta Rai, si era ancora al rito preliminare delle benedizione delle palme, parte la telecronaca. E il mio zapping. Non per snobismo liturgico, non è la preferenza per il gotico ambrosiano contro il barocco romano. E’ che, se esiste una cosa forse positiva nell’obbligo di messa alla televisione, è quello di una rinnovata sobrietà, di una necessaria economia di parole e di immagini, il bisogno di concentrarsi su quel che avviene. E provare a far sì che la televisione sia “solo” un mezzo – la trasmissione da lontano, appunto – e non un commento, non uno svolazzo. Invece, nei primi dieci minuti della cerimonia papale i telecronisti, dopo la formazione vaticana in campo, hanno dato pure il commenti sui rami benedetti, “non sono amuleti”, hanno commentano il Vangelo dell’entrata in Gerusalemme e anche il salmo 23. Nelle messe e nei rosari che ogni giorno vengono trasmessi da tanti canali religiosi, da chiese e santuari, e ora con grandi ascolti, ci sono telecamere quasi fisse sul rito, silenzi di raccoglimento lunghi e molto poco televisivi, niente commenti. Insomma: lo schermo si fa trasparente.

  

Lo stile magniloquente e troppo loquace delle dirette Rai (e per decenza tralasciamo i Requiem aeternam pop-populisti di Mediaset) è invece quello dello show in technicolor. Ed è una lunga eredità, con una sua ragione storica. E’ la “televisionizzazione” del sacro costruita, come una retorica coerente e globale, attorno al pontificato di Giovanni Paolo II. Un Papa che come pochi altri leader del Novecento sapeva bucare e usare lo schermo, senza averne paura. Nel corso degli anni, e degli share mondiali che si gonfiavano, i media vaticani (e la Rai per la parte italiana, ma per i grandi network internazionali vale la stessa cosa) codificarono intorno a Wojtyla le regole dello show. Poi venne un Papa professore e trasparente dal punto di vista dei media, le telecamere proprio non lo intercettavano, si accorsero solo dell’elicottero che lo portava via. Ma the show must go on e la regia degli eventi pontifici è rimasta uguale. Ora c’è Francesco, per il quale le uniche immagini che appropriate sarebbero i video con lo smartphone, per la strada. La sua preghiera solitaria in piazza San Pietro non è stata un evento mediatico per merito della regia, ma per la sua presenza fisica che chiedeva soltanto silenzio, incurante di ogni regia. Il grande lockdown e la Pasqua a porte chiuse potrebbero essere l’occasione di lasciarsi alle spalle gli schemi di una rappresentazione del sacro tardo wojtyliana che forse non è più quello che le persone cercano. In questi giorni di passione.

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"