Il patriarca della chiesa cattolica greco-melkita, Gregorio III Laham

Il patriarca siriano: "Bisogna fermare il conflitto alle radici, non fare discorsi sull'accoglienza"

Matteo Matzuzzi
Nella ridda di dichiarazioni, commenti, analisi sulla emergenza migratoria (analisi che spesso hanno il difetto non secondario di non distinguere tra migrante e profugo, concetto invece ben chiaro alla cancellieri tedesca Angela Merkel), fanno rumore le parole di un presule siriano, il patriarca cattolico greco-melkita, Gregorio III Laham.

Nella ridda di dichiarazioni, commenti, analisi sulla emergenza migratoria (analisi che spesso hanno il difetto non secondario di non distinguere tra migrante e profugo, concetto invece ben chiaro alla cancelliera tedesca Angela Merkel), fanno rumore le parole di un presule siriano, il patriarca cattolico greco-melkita, Gregorio III Laham. Lontano dalla retorica, il patriarca ha consegnato al portale AsiaNews (del Pontificio Istituto Missioni Estere) una analisi lucida della reale portata del problema, prospettando anche quale sia – a suo giudizio – l’unico modo per evitare che tragedie come quella del “bambino curdo siriano morto sulle spiagge della città turca di Bodrum” si ripetano in futuro. L’obiettivo, dice, deve essere quello di “fare la pace, garantire la salvezza e il futuro del medio oriente”, così da poter dire “mai più la guerra”. Il problema è che la guerra c’è già, nel vicino e medio oriente dilaniato da lotte intestine con interessi stranieri nient’affatto irrilevanti. “Ai governi occidentali dico che il punto centrale non è accogliere e ospitare i profughi, ma fermare il conflitto alle radici. Tutti devono essere coinvolti, dall’occidente alle nazioni arabe, dalla Russia agli Stati Uniti. Questo è ciò che aspettiamo, la pace. Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza”.

 

Il patriarca Gregorio III Laham ha scritto una lettera ai giovani cristiani siriani, iracheni e libanesi chiedendo loro di “fermare lo tsunami” migratorio, che comporterà lo svuotamento progressivo ma ineluttabile del paese della presenza cristiana. Riporta AsiaNews che dal 2011 a oggi almeno 450.000 cristiani siriani se ne sono andati. 450.000 su 1,7 milioni. In Iraq i cristiani sono meno di 300.000, dal milione che erano un decennio fa. Fermare l’esodo è impossibile, anche perché “i terroristi” puntano a distruggere la società civile dal basso: “Solo qui in Siria sono state distrutte almeno 20.000 scuole. E senza istruzione, questi bambini la cui infanzia è stata negata saranno i futuri terroristi, i nuovi membri del Daesh”. Quel che bisogna fare è “continuare a essere presenti nella regione, anche se il cristianesimo è un bersaglio, per proseguire l’opera di dialogo con i musulmani. Senza i cristiani ci sarebbe un vero e proprio shock di civiltà”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.