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Il reato di “concorso esterno” serve ancora?

Massimo Bordin

Per il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, “la questione dell’articolo 416 bis ha perso drammaticità” perché esistono specifici reati che possono essere contestati al “concorrente esterno”

Questa rubrica si era occupata della questione un paio di giorni fa a proposito di un’audizione della commissione parlamentare antimafia. In quella sede Pietro Grasso aveva posto al procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone un quesito semplice : il reato di “concorso esterno” serve ancora? Pignatone, rispondendo nel suo intervento conclusivo, si era limitato a riaffermare che a suo parere l’articolo 416 bis aveva mostrato, in più di trent’anni, di sapersi adattare alle mutazioni delle forme delle associazioni mafiose rivelandosi efficace nel sanzionarle. Meglio dunque non modificare un equilibrio che il procuratore aveva definito miracoloso. Oggi si può completare quella risposta sulle base delle parole pronunciate da Pignatone in una intervista a Radio radicale.

 

Il procuratore capo in realtà si pone la stessa domanda del suo ex collega Pietro Grasso. Non è detto che la combinazione fra il reato di concorso e quello sanzionato dal 416 bis (il contestato “concorso esterno”) serva ancora a molto. Per essere precisi, le parole usate da Pignatone sono state più lievi: “La questione ha perso drammaticità”, ha sostenuto il procuratore argomentando come ormai esistano specifici reati che possono essere contestati, naturalmente con l’aggravante prevista per i reati di mafia, al “concorrente esterno”, reati che sono praticamente ritagliati sui suoi comportamenti tipici, a cominciare dal riciclaggio per arrivare all’intestazione fittizia di beni, passando per il voto di scambio e la corruzione. Così una eventuale condanna deve ancorarsi solidamente a un fatto. È in fondo il metodo che ha portato alla condanna di Totò Cuffaro che Ingroia e altri volevano imputare di concorso esterno.

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