Giuseppe Pignatone (foto LaPresse)

Per Pignatone il 416 bis deve restare così com'è

Massimo Bordin

Il procuratore capo di Roma in audizione alla commissione antimafia sul processo “mafia capitale”

La domanda più interessante e pertinente è stata posta da Pietro Grasso, quando mercoledì la commissione antimafia ha ascoltato il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto, con delega all’antimafia, Michele Prestipino. L’audizione ha avuto scarsa eco sui giornali ma è stata per più di un verso interessante. I due dirigenti della procura romana hanno inevitabilmente centrato le loro relazioni sul processo “mafia capitale” che però amano chiamare “mondo di mezzo”, secondo l’ultima denominazione data dal Ros all’indagine. La procura attende fiduciosa il giudizio della Cassazione che, è stato fatto notare, ha elaborato una giurisprudenza consolidata basata sull’interpretazione estensiva del reato di associazione mafiosa, coniando l’espressione “piccole mafie”. Su Roma e il rapporto fra mafie storiche e piccole mafie autoctone si è dunque incentrata la audizione ma a Grasso non è sfuggito qual era il vero cuore della questione. Pignatone, nel valorizzare l’evoluzione giurisprudenziale della Suprema corte, ha evidenziato come la formulazione dell’articolo 416 bis abbia retto nel tempo adattandosi plasticamente anche alle trasformazioni del fenomeno mafioso e si è detto convinto che sia meglio non toccare il 416 bis perché “qualunque modifica rischia di incrinare un equilibrio miracolosamente ottenuto”. Grasso sa perfettamente che l’ultima commissione ministeriale, presieduta dal professore Giovanni Fiandaca, che si è occupata del 416 bis, aveva per oggetto una sua modifica per includervi il “concorso esterno”. Alla fine si decise di lasciare le cose come sono. Grasso aveva chiesto se, così com’è, il concorso serva ancora. Pignatone è rimasto sulla linea dell’intangibilità del 416 bis.

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