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I soldi (che non ci sono) per le riforme gialloverdi

Massimo Bordin

Conte dovrà usare tutte le sue arti forensi per convincere il popolo che gli obiettivi annunciati sono stati raggiunti almeno in parte

Giunti a un’ora molto avanzata bisogna per forza scrivere qualcosa che non può non tenere conto delle mancate precisazioni su alcune cifre che ieri mattina avevano aperto la giornata sui principali temi della manovra economica. Quota 100 è diventata per alcuni quota 102, per altri 104. In ogni caso la cifra che doveva irrevocabilmente stanziata per le due misure chiave, pensioni e reddito di cittadinanza, risulta ridotta fra i 6 e gli 8 miliardi complessivi. Ricorderete due mesi fa una polemica di Salvini nei confronti di Di Maio a proposito dei 9 miliardi, per la riforma della legge Fornero, che il vicepremier leghista assicurava sarebbero stati irrevocabilmente stanziati in perfetta simmetria con gli altrettanti 9 necessari al reddito a cinque a stelle, a proposito dei quali Di Maio, per parte sua, garantiva la accertata presenza di adeguate coperture.

   

Non occorre un premio Nobel per capire che 9+9 fa 18 e non una cifra oscillante fra 6 e 8. C’è dunque una logica nella scelta dei due dioscuri di farsi rappresentare a Bruxelles dal presidente Conte, ma è una logica elementare, infantile, di chi cerca di svicolare da una brutta figura. Conte dovrà usare tutte le sue arti forensi per convincere non solo la commissione che la manovra è una cosa seria ma soprattutto il popolo, o gli azionisti come una volta ha definito gli elettori, che gli obiettivi annunciati sono stati raggiunti almeno in parte. Un lavoraccio, una causa difficilissima che richiede una parcella adeguata e qualcuno dovrà pur pagarla. Difficilmente sarà Salvini.