Il carcere di San Vittore (foto LaPresse)

Non esageriamo con la cagnara sul 41 bis

Massimo Bordin

La Corte di Strasburgo non si è espressa contro l'articolo, che anzi ritiene abbia “finalità preventive e di sicurezza e non punitive”

“La Corte di giustizia europea non sa di cosa parla, il 41 bis è uno strumento fondamentale”, assicura il vicepremier Luigi Di Maio commentando la sentenza della Cedu sul ricorso dei legali di Bernardo Provenzano a proposito della morte in carcere del capomafia gravemente malato. “Il 41 bis non si tocca”, proclama il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e altri con lui. Per la verità quelli che non sanno di cosa parlano sono loro ed è facile dimostrarlo. Innanzi tutto la sentenza Cedu, oltre a condannare – vedremo fra un attimo perché – il governo italiano, respinge il ricorso e dunque non dà ragione ai famigliari di Provenzano, sostiene al contrario che non c’è prova che lo stato abbia danneggiato la salute del capo mafia. La sentenza non contesta nemmeno il 41 bis, che molto ottimisticamente ritiene abbia “finalità preventive e di sicurezza e non punitive”. La Cedu condanna il governo perché il ministro, secondo la sentenza, ha rinnovato il regime speciale a Provenzano in modo burocratico, “senza una autonoma valutazione” e senza mostrare nel provvedimento “un genuino accertamento dei mutamenti rilevanti nella situazione del ricorrente”. E’ questo rinnovo insufficientemente motivato che sta alla base della condanna. Non il regime speciale di detenzione, né un danno alla salute di Provenzano. Fra l’altro la sentenza Cedu è perfettamente in linea con la prima sentenza della nostra Corte costituzionale sul 41 bis, che nel 1993 impegnava il ministro della Giustizia a esaminare i rinnovi del regime speciale non in modo automatico ma approfondendo le singole posizioni. Bastava leggere. Si è preferito montare una cagnara inutile e ingiustificata.

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