Francesco Piccinini, direttore di Fanpage.it

Appunti per Fanpage: quelle di giornalisti e poliziotti sono professioni diverse

Massimo Bordin

Qualche precisazione sugli agenti provocatori e l'inchiesta sul figlio di De Luca

L’agente provocatore non è una figura ambigua. E’ molto peggio, può causare o causarsi danni irreparabili. Concretamente però è utile. A patto che sia un tecnico del ramo, capace di muoversi come un equilibrista sul filo. Sarà impopolare dire che non è cosa da giornalisti ma da poliziotti, che sono due mestieri diversi, ma è forse necessario. Evitiamo per favore di invocare il “giornalismo di inchiesta”. E’ già abbastanza sputtanato. L’inchiesta giornalistica fatta collazionando intercettazioni e atti giudiziari è mera compilazione di verbali di questura e di procura, talvolta rimessi in italiano ma non sempre. Manca solo che, superata la mansione degli addetti stampa, ora arrivino quelli che si mettono a fare gli agenti provocatori. Per farlo sul serio, ad esempio, bisogna maneggiare denaro, non valigette vuote come abbiamo letto. Qualcuno pensa davvero che un corrotto, al momento del saldo, o dell’anticipo, non voglia vedere i soldi e si accontenti del contenitore? Chi può crederlo? Eppure una scena così era descritta dai giornali di lunedì. Piuttosto, in un libro pubblicato nel 1999 veniva descritta una brillante operazione condotta col metodo dell’agente provocatore. In “Corruzione ad alta velocità”, scritto da un giornalista, Sandro Provvisionato, un ex magistrato, Ferdinando Imposimato, e un avvocato, Pino Pisauro, si raccontava come i carabinieri riuscirono a infiltrare uno di loro, che si spacciava per imprenditore corrompibile, nel giro dei camorristi che, oliando politici locali, lucravano tangenti per la Tav Roma-Napoli. Arrivarono arresti e prove. Ma non era fanpage.it, era il Ros di Mario Mori, quello che i “giornalisti di inchiesta” oggi vogliono in galera.