Il sindaco di Milano Beppe Sala durante al "Pride" del 2022 (Lapresse) 

Il dibattito

L'omogenitorialità è un dispositivo ideologico che danneggia le donne

Marina Terragni

Il pari-e-patta fra “omogenitori” cancella la differenza femminile e materna: parlare in questi termini è solo un gran favore che si sta facendo agli uomini. Alcuni punti fermi in vista della manifestazione dei sindaci a Torino il 12 maggio

Il prossimo 12 maggio i “sindaci per i diritti” (da Sala a Gualtieri a Nardella a Decaro) si incontreranno in una manifestazione a Torino per chiedere al Parlamento italiano di legiferare in merito al riconoscimento anagrafico delle figlie e dei figli nati per iniziativa di coppie omogenitoriali. Nel frattempo ricominceranno a trascrivere gli atti integrali di nascita costituiti all’estero relativi a coppie di donne, che escludono cioè il ricorso a utero in affitto. Su questa fattispecie il ministero dell’Interno non si è pronunciato, in attesa di un parere da parte dell’Avvocatura dello stato: sembrerebbe un riconoscimento della differenza sessuale, anche se le ragioni dell’incertezza sono tecno-giuridiche. Ma nei fatti a modo suo lo è. Il dibattito sull’“omogenitorialità” ha il merito di illuminare a giorno, contro ogni retorica paritaria, la questione della differenza in materia di procreazione.

 

La celebre e insoluta domanda – che cos’è una donna? – nel caso della “genitorialità” trova una risposta lampante. Una donna è un essere umano che può metterne al mondo un altro. Magari non vuole, her choice, ma può. Etero, lesbica o bisessuale, dispone in proprio di quasi tutto quello che serve per procreare. Quello che le manca – il seme di un uomo – non è difficile da reperire: i gameti maschili sono naturalmente destinati a staccarsi dal corpo, in un modo o nell’altro. Se una donna – nell’età giusta e in salute – vuole diventare madre, l’impresa non è affatto complicata. Diversamente per un maschio che intenda diventare padre levandosi le donne di torno non c’è che il mercato neopatriarcale del biotech riproduttivo, che gli procurerà ovociti espiantandoli dal buio e dal tepore del grembo femminile, dove la natura li ha collocati per tenerli al sicuro, per poi fecondarli e re-impiantarli nel grembo di un’altra, anche lei debitamente bombardata di ormoni. Almeno fintanto che le immani quantità di denaro investite nelle ricerche per clonazione, uteri artificiali, uteri trapiantati e bio-bag – insomma, il Graal – non daranno i loro frutti. Insomma, un po’ di prometeismo c’è.

 

Il pari-e-patta fra “omogenitori” lgb cancella la differenza femminile e materna. Parlare di omogenitorialità è solo un grande favore che si sta facendo agli uomini. Perché quelle madri lesbiche si inguaiano prestandosi alla parificazione dei “diritti”? Perché si mettono al servizio della minoranza dei bi-padri? Oltre al resto si sono sempre viste coppie di donne-amiche, sorelle, madre e figlia, intente a crescere insieme bambini. Il nostro sguardo c’è abituato, per non parlare della grande quantità di madri single. Che poi tra due donne vi sia anche una relazione sessuale non rileva.

 

Ulteriore complicazione: le cosiddette maternità Ropa, una che ci mette l’ovocita e l’altra che conduce la gestazione (e anche qui ormoni a gogo: non fa bene alla salute). Per il nostro diritto mater semper certa è colei che partorisce, ma l’altra è indubitabilmente la madre genetica: tant’è che nell’enorme caos nazionale sulle trascrizioni il Comune di Venezia è tra quelli che registra entrambe. Un fatto è certo: la questione delle “due madri” non equivale a quella dei “due padri”. L’ombrello dell’“omogenitorialità”, notte in cui tutte le vacche sono nere, è un dispositivo ideologico ai danni delle donne, che peraltro costituiscono la stragrande maggioranza (8-9 su 10) delle coppie che chiedono le trascrizioni dei bambini: forse dovrebbero sganciarsi e andare per la loro strada. Ad abundantiam, se il ricorso maschile a utero in affitto è un reato in quanto pratica “che offende in modo intollerabile la  dignità della donna  e mina nel profondo le relazioni umane”, fermo giudizio negativo della Corte costituzionale confermato da tutte le successive sentenze sia della Consulta sia della Cassazione, non risulta che restare incinta costituisca violazione della legge. E, come dicevamo, restare incinta non è per niente difficile. La decisione – diventare madre o non diventarlo – è solo della donna e le appartiene in modo assoluto e insindacabile.

 

Tornando alle trascrizioni: al momento anche il diritto sembra attenersi al pari-e-patta tra padri e madri sotto l’ombrello dell’omogenitorialità, vietandole in tutti i casi e mantenendo l’incertezza solo sul caso dei bambini nati all’estero da coppie di donne (bene ricordare che non è il governo vietare, ma le sentenze della Cassazione).
In genere il diritto tratta donne e uomini come neutri e uguali e non sa rappresentare la differenza. Ma come abbiamo visto in materia di riproduzione la differenza esiste e si mostra con chiarezza. Si dovrebbe provare a tenerne conto. Sensato che in ossequio al superiore diritto del bambino alla verità sulle proprie origini anche nel caso dei nati da coppie di donne non si proceda alla trascrizione integrale e automatica dell’atto di nascita, e “l’altra madre” (a meno che non sia madre genetica) intraprenda il percorso dell’adozione in casi particolari, percorso che di sicuro va ulteriormente semplificato e velocizzato. Ma è vero anche che questa “verità sulle origini” è sempre stata un segreto detenuto dalla madre semper certa (pater numquam), prerogativa che ha fatto dannare gli uomini e sulla quale si è costruito l’immane sistema di controllo della sessualità femminile a tutela dei geni maschili “proprietari”. E’ sempre toccato a lei indicare il padre. Tutto questo disquisire, oltre che opinabile, è certamente urticante per gli uomini, etero e gay, di destra o di sinistra. Ma ogni uomo può forse trovarci qualche buona ragione.

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