il dibattito

Caro Giuliano, il così detto utero in affitto è un tema che c'entra poco con l'amore omogenitoriale

Michele Masneri

Un governo che voglia insolentire i suoi cittadini e la loro prole a seconda dei genitali di provenienza a quale branche del conservatorismo apparterrà mai? Non certo british. Forse all’ungherese?

Due giorni fa Giuliano Ferrara scriveva su questo giornale una sommessa e intelligente riflessione su coppie omogenitoriali e cambiamento dei costumi. Parlava, l’amaro e amato Fondatore, di “amore e tecnica bioingegneristica, con il sostegno portatore di un corpo o di un seme altrui, che sa per me di follia generazionale, di cattiva contemporaneità”. 

 
Adorato Fondatore, secondo le rare statistiche del settore l’80 per cento delle coppie che ricorrono al cosiddetto utero in affitto – orrida truculenta definizione per indicare la gestazione per altri: le parole sono importanti  – sono belle famigliole etero, dunque qui da noi italiane e forse anche cristiane (inseguiremo pure loro per l’orbe terracqueo? andremo a cercarle una per una? E se saltano fuori sorprese?). Dentro e fuori questo 80 per cento una quota comprende anche chi lo fa gratuitamente, se ne conoscono tante (sembrerà strano, ma esistono signore che capiscono il dramma della mancata filiazione etero o non etero e si offrono di portare avanti per loro la defatigante gravidanza. Spesso rimangono anche bei rapporti). 

  
E per il restante, esiste un commercio sì, del corpo, come se ne conoscono tanti anche qui, dal meretricio in giù o su (“siamo tutti puttane”, proclamavi tu, ma puttane con l’utero nostro o degli altri?). E purtroppo lo sappiamo, che ci stanno pure tanti altri lavori usuranti al corpo e all’animo femminile. Aboliremo anche questi? E poi la povertà? Ci hanno già provato quegli altri, sappiamo com’è andata. E se invece lasciassimo semplicemente la femmina decidere in autonomia? Sul corpo suo? Proprio contro le gestanti per denaro o amicizia il paese tutto e talune femministe si accaniscono: ma queste femmine non saranno poi abbastanza autonome per decidere cosa fare col grembo loro? 

   
La seconda questione è l’accanimento del governo brutal melonista (il o la ministra Roccella ci ha messo di nuovo il carico da novanta) contro queste pratiche bioingegneristiche. Oggi a Milano ci sarà una bella manifestazione delle famiglie cosiddette arcobaleno, contro le stringenti misure che il governo brutal-melonista annuncia e progetta ai loro danni. Come ha detto una figlia di queste ingegnerie amorose al Corriere, ma a loro cosa gliene frega? E poi: dei brutaloni di governo, l’attitudine a sbirciare in mutande e mutandine e letti intristisce e sconcerta. E qui sorge il dubbio: non sarà che siccome le lotte “all’orbe terraqueo” con “reati universali” e galattici (si vede l’impronta fantasy) applicate a tratte di scafisti e altri problemi di difficile soluzione non riescono come previsto, non potendo strombazzare il mantra della sicurezza, si cavalca invece l’insicurezza?

  
Insicurezza di padri e madri e figli e figlie. E anche volendo buying it, farà bene questa guerriglia al morale e al pil di una nazione già provata? Si credeva che un moderno partito conservatore dovesse puntare semmai a imborghesire i suoi cittadini – facendoli diventare proprietari di case come voleva Thatcher e anche sposare tra maschi e femmine stesso sesso come proclamava Cameron (“voglio il matrimonio gay proprio perché sono conservatore”). Un governo che voglia invece sfruculiare e insolentire i suoi cittadini e la loro prole a seconda dei genitali di provenienza, che vada a sindacare affitti e usufrutti e nude proprietà di grembo (mentre perdona e agevola le partite Iva allegre) a quale branche del conservatorismo apparterrà mai? Non certo british. Forse all’ungherese? Alla polacca? Alla Garbatella? Vuoi vedere che toccherà usare la solita vecchia parola, la f word, in questo caso a indicare non gay ma fasci?

Con immutato amore filiale,

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).