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Il dibattito

Caro Michele, ecco perché la maternità surrogata disumanizza madre e figlio

Nicoletta Tiliacos

La gravidanza, un unicum, e poi la separazione. Ma a decidere è in fondo sempre la nostra idea del mondo e delle relazioni tra le persone. Risposta all'articolo di Masneri pubblicato su questo giornale

Caro Michele, prima di tutto devo ringraziarti. Per noi che siamo contro l’utero in affitto (o gestazione per altri, pardon, definizione che avrebbe assai ben figurato nella neolingua orwelliana), il tuo articolo di ieri è una mano santa. Contiene, spiattellate con adorabile brillantezza, come solo tu sai fare, tutte le ragioni del perché noi vecchie femministe radicali e ammuffite ci opponiamo ottusamente. E’ il mercato, bellezza, rivendichi con serenità, allora paghiamole tantissimo, queste donne portatrici, e non se ne parli più. Perché saranno o no, loro, padrone di sé e del proprio utero? E dunque, se lo vogliono affittare stile Airbnb, magari ben remunerate, chi siamo noi per impedirglielo. Caro Michele, vorrei avere la tua spensieratezza nell’argomentare su queste faccende, ma purtroppo qualcosa di molto ingombrante me lo impedisce. Mi chiedo però, se quello che dici è vero, perché allora una donna non possa direttamente vendere il proprio figlio immediatamente dopo il parto. Invece, magari lo sai anche tu, vendere i figli non si può, è reato ovunque, anche nell’India delle fattorie riproduttive. Ah, è perché l’ovocita è di una donna e la pancia di un’altra? Spezzetta spezzetta, la madre sparirà? 

 

C’è un’altra domanda noiosa, perfino un po’ greve, che vorrei farti. Come mai, se ognuno è padrone di sé e del proprio corpo, non si possono vendere reni, polmoni, cornee? Lo sai anche tu: un dono può avvenire solo tra consanguinei, quindi di dono effettivo deve trattarsi, altrimenti il fantasma della compravendita diventerebbe concreto. Come dici? Che già c’è chi gli organi li vende? Certo, ma è reato ovunque, e tra i più abominevoli, perseguito su scala internazionale, senza eccezioni. Nessuno si sogna di dire, visto che succede, che sarebbe meglio regolamentarlo (c’è anche chi lo dice, ma senza nessun seguito). E dire che sullo sfondo c’è una buona causa, addirittura la possibilità di salvare vite. Eppure non si può, e non si può nemmeno vendere il sangue, lo sai? Anche quello può essere solo dono, non compravendita.

 

La gestazione però riguarda solo le donne, quindi la compravendita se po’ fa. Qui, caro Michele, diventerò pesantissima, e mi raccomando, prova a resistere eroicamente alle citazioni. Hans Jonas diceva che “la vera minaccia comportata dalla tecnologia fondata sulle scienze naturali non risiede tanto nei suoi mezzi di distruzione quanto nel suo tranquillo uso quotidiano”. Credo che per nessun argomento come per la maternità surrogata questo sia vero. E’ passata la convinzione che la frammentazione della generazione (attorno alla culla di un nuovo nato possono affollarsi due genitori committenti o “di intenzione”, la donatrice di ovocita, il donatore di sperma, la fornitrice di utero) renda “neutro” l’apporto della gravidanza. Merce come un’altra, pezzo di una catena di montaggio di cui servirsi in nome del desiderio dei genitori intenzionali, etero od omosessuali non importa. E’ una trascurabile circostanza, il fatto che l’utensile per ottenere il figlio sia una donna in carne e ossa, coinvolta ventiquattro ore su ventiquattro per nove mesi (anche di più,  considerando la preparazione ormonale alla quale la donna non incinta deve sottoporsi per poter accogliere l’embrione dentro di sé) e in un evento comunque critico come il parto. Ma la gravidanza è un unicum, non esiste nessun “lavoro del corpo” che possa esserle assimilato. Un unicum, scrive la filosofa femminista Sylviane Agacinski, come la nascita e la morte. “Non solo non assomiglia a nient’altro, ma non può essere pensato in analogia con altre cose”. E’ la differenza femminile, bellezza, e ti dirò, caro Michele, che a quella differenza sono affezionata, e che penso vada valorizzata e rivendicata. Come ti dicevo all’inizio, quella è la cosa ingombrante che mi impedisce di seguirti nella tua spensieratezza da libero mercato.

 

Caro Michele, a decidere è sempre la nostra idea del mondo e delle relazioni tra le persone. Non sarei affatto contraria ai rari (davvero rarissimi) casi di accordo affettivo e amicale tra parenti e tra persone che hanno e conserveranno una relazione, tra di loro e con il bambino (ma non sto parlando della cartolina una volta l’anno con gli auguri di compleanno e nemmeno di ciao ciao sullo schermo di un computer). Ma nella stragrande maggioranza dei casi, lo capisci anche tu, quella relazione tra la partoriente e il bambino è proprio la cosa che va totalmente cancellata. Ti pago e sparisci. Là dove la maternità surrogata è legalizzata, si accetta di programmare l’abbandono di un neonato e si pianifica quello che sarebbe altrimenti considerato inaccettabile: separare subito il nato dalla madre che lo ha partorito, impedire l’allattamento al seno, scongiurare nella gestante-partoriente il sorgere di qualsiasi attaccamento all’essere che ha sentito muoversi dentro di sé e che ha messo al mondo, impedire a quest’ultimo di vivere qualsiasi continuità  carnale e psichica con l’esperienza prenatale (sulla quale sono prodotti fiumi di ricerche, che valgono per tutti ma stranamente non per i nati da utero in affitto). Continuità che è considerata essenziale, e può venir meno solo per motivi gravissimi o di forza maggiore, come la morte o la grave malattia della madre o l’abbandono del figlio non voluto da parte di chi non lo vuole riconoscere, pur avendo accettato di partorirlo. 

 

I figli della surrogata sono sempre orfani, nonostante la sovrabbondanza di soggetti che contribuiscono alla loro venuta al mondo. Lo sono perché sarà loro negata, nella stragrande maggioranza dei casi, la verità sulla loro origine, e non conosceranno mai la donna che li ha partoriti. La pratica della maternità surrogata – pago bene, anzi benissimo, e compro un bambino – disumanizza madre e figlio, quella coppia così sovversiva che da sempre si prova a sminuirla e depotenziarla. Spero di non averti annoiato troppo, caro Michele, ti saluto con affetto.

 

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