il dibattito

Perché la metafora immobiliare sull'utero in affitto non regge

Michele Masneri

Gpa e diritti. Risposta a Maurizio Crippa e una provocazione, un Superbonus uterino 

Maurizio Crippa su questo giornale mi ha amichevolmente rimproverato che la “Gpa” non si può chiamare così, va detto “utero in affitto”, come vuole Giuliano Ferrara, anche se adesso Ferrara dice di non aver mai pronunciato la fatale definizione (complicati dibattiti foglianti). Comunque, il vicedir del Foglio sostiene che “gestazione per altri” sia sviante e light, io non sono tanto d’accordo, non per altro ma perché spesso l’affitto non c’è, è semmai un comodato gratuito, ci sono donne che lo fanno gratis per aiutare coppie sterili o impossibilitate (esistono, ne conosco). Ma non sarò certo io a sottrarmi alla metafora immobiliare! Anche se nel paese dell’abuso edilizio e della truffa al Superbonus mi sembra una strada accidentata.  

  
Ma procediamo. Tu Crippa scrivi benissimo e con le tue citazioni ho dovuto googlare tutto il tempo. Ma alla fine mica ho capito perché non si potrebbe affittare, codesto utero. Io sono un vecchio materialista bresciano, duro di comprendonio. Se seguiamo la metafora immobiliare e pigionante, il mercato è il mercato, ha le sue regole. Posto che la proprietaria e i conduttori siano d’accordo, che tasse e bolli siano pagati e il prezzo sia equo, con fattura e tutto, nessuno di voi di questa mozione Gabetti-Tecnocasa  riesce a spiegarmi davvero a quel punto perché non deve essere la donna a decidere. Non appartiene forse a lei l’immobile? Che ne dispone come meglio crede? Il punto mi sembra essere questo: che secondo te esiste un Altissimo Rogitante, un Definitivo Immobiliarista, un Estremo Dante Causa, che ne detiene la nuda proprietà. La donna a questo punto non ne avrebbe più il pieno possesso, ma solo l’usufrutto (e comunque, secondo il codice civile l’usufruttuario può benissimo mettere in  affitto l’‘immobile. C’è sempre qualcosa che non torna insomma in questo ragionamento immobiliare dell’affitto che vi sta tanto a cuore). 

 
E un altro punto che non mi convince è che a sorvegliare tutta la pratica edilizia, che la donna il suo utero non lo subaffitti, non ci faccia le feste, non lo dia ad Airbnb, ci sono dei notai appositi, che agiscono  in nome e per conto dell’Alto Immobiliarista. Notai quasi sempre maschi, più antiche femministe, tutti autonominatisi (almeno i notai veri fanno un concorso, molto difficile! Mia nonna me lo diceva sempre, fai il notaio! Altro che giornalista). Dai, questa cosa dell’affitto fa acqua da tutte le parti, Maurizio. E poi: l’edilizia e le case cambiano, le finestre e i pavimenti non son più quelli di un tempo, nessuno vieta peraltro a chi lo desidera di costruirsi la casa in stile Ottocento o razionalista (molto di moda ora)  o di vivere nella grotta o nell’antico mulino (ci sono siti per appassionati). Ma chi volesse abbracciare la modernità  dovrebbe con le apposite leggi e regolamenti urbanistici poterlo fare, la tecnica e le norme di tanti posti civili lo consentono,   posti cari a questo giornale come California e Israele (anche se Giorgio Mulé l’altra sera ha detto che chi fa la gpa è nazista; dopo i nazisti ucraini abbiamo ora i nazisti californiani). 

  
In California poi si costruiscono bellissime villette tradizionali  che però celano le più aggiornate tecnologie, un po’ come le nostre amiche quarantenni e cinquantenni italiane che oggi procreano con le più sofisticate domotiche, con l’eterologa che tu citi;  ma a questo punto seguendo la tua linea sarebbe più giusto chiamarla “ovulo in usucapione. Anche in quel caso ci sono listini e imprese, finiture diverse, anche lì ci fu gran dibattito dieci anni fa, nel 2014, dibattito italiano sgangheratissimo, altro che lingue tagliate come dici tu e “politicamente corretto”. Risultato: oggi vanno tutte a Barcellona, in viaggi frequentissimi come i calvi a fare il trapianto di capelli a Istanbul (ma a differenza dei  pelo-trapiantati  le madri italianc cristiane ecc.  non portano segni esterni al ritorno, meno male, le farebbero arrestare subito sottobordo, secondo le nuove istanze che anelano al reato universal-terracqueo).  

 
Un altro tema che tirano fuori è la questione della  povertà, sono donne in miseria, si dice, costrette all’affitto  (però nessuno fa nulla per strapparle alla miseria, generalmente, queste donne povere, quando non si parla di utero).  Allora, propongo io, perché non pagarle tantissimo, queste signore? Un grande superbonus uterino, diamo centomila, duecentomila, mezzo milione di euro a donne povere che si offrono di portare avanti gravidanze per chi non può. Si risolverebbero un sacco di problemi, abolendo insieme povertà e denatalità. Si creerebbero anche moltiplicatori keynesiani notevoli (si potrebbe in cambio, per placare la furia penalistica,  mettere fuorilegge il suddetto trapianto di capelli maschile, o farmaci contronatura come il Viagra, una volta tanto sacralizzando il  corpo dei maschi). 

 
Ma ho l’impressione che non servirebbe a molto.  Si continuerebbe a partire per  il prestigioso estero.  Dove chi poteva viaggiare ha sempre  divorziato e abortito, del resto, attendendo l’Italia che dibatteva e vietava   (sono le famose  trattative riservate). Qua da noi infatti  da sempre si preferiscono i sogni alle solide realtà, ci  si racconta  di costruire ancora il villaggio col  tetto di paglia, e del resto Rampelli è l’architetto-deputato che vuole il ritorno all’architettura vernacolare,  tutto torna. Oltre che persa, Maurizio, la battaglia contro la domotica familiare mi sembra combattuta da molti in malafede, da tanti disinformati; da una minoranza, come te, idealista (punto it). 

 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).