(foto di Bethany Beck su Unsplash)

oltre la "salute riproduttiva"

Ha ragione Cristina Comencini, l'Italia della Legge 194 non esiste più

Riccardo Mensuali

Riflessioni a 44 anni dal via libera all'aborto. E se la maternità fosse oggi una via per riaffermare la propria libertà? 

Cristina Comencini, su Repubblica, ha scritto: “Le giovani donne di oggi dovrebbero imporre a gran voce, come un tempo la generazione precedente ha imposto la libertà sessuale, la loro libertà di essere madri, di desiderare un corpo anche per fare nascere un’altra, un altro”. A 44 anni dall’entrata in vigore della Legge 194, mi pare un valido spunto di riflessione, immersi come siamo nel pieno dell’inverno demografico. Il legislatore si premurava di sottolineare che lo stato, mentre “garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. Quell’Italia, per tanti e profondi aspetti, non esiste più.

 

Nel 1968 su 100 matrimoni, 98 si celebravano in chiesa e nel 1978 i nati furono più di 750 mila, nonostante il calo delle nascite fosse iniziato, per non fermarsi più, alla metà degli anni 60. I nati nel 2021 sono stati 399.431, praticamente la metà. Non è invecchiata solo la 194, siamo invecchiati noi. Sembrano esaurirsi le ragioni per generare. Con questi dati, sorge più di un dubbio sull’effettiva capacità di “riconoscere il valore sociale della maternità” da parte dello stato e della società nel suo insieme. Mi pare il contrario: è emerso, in quarant’anni, il disvalore sociale della maternità. Per la Chiesa, che difende, sostiene e custodisce ogni vita, è ovvio che un aborto sarà sempre e solo la morte di un’altra persona. Lo pensano in tanti, anche fuori dai confini della fede.

 

Anche lo sguardo più disattento non può non riconoscere che il ricorso all’Igv emerge, spesso, come pura conseguenza di una volontà semplificata: il figlio, adesso, non lo voglio, non posso, non è il momento. O non lo vogliono i possibili nonni, gli amici e chi sta intorno. Da anni, d’altra parte, le inchieste sui sogni e i progetti dei giovani riportano come rilevante il desiderio di sposarsi e fare dei figli. E per quanto contro intuitivo, i ragazzi vorrebbero avere più bambini delle loro coetanee. Sarà forse, come afferma Claudio Risé nel suo ultimo libro, l’inizio del “ritorno del padre”? Si potrebbe ragionare sul grave ritardo nell’accesso al lavoro dei giovani italiani. Si dovrebbe discutere sul “prestigio” e sul valore che parole come “matrimonio”, “maternità”, “paternità” hanno perduto e come potremmo farglielo riconquistare.

 

Pierangelo Sequeri ha notato che quando si parla del “nascere” si allude, ormai, quasi solo ad una questione clinica-ostetrico-ospedaliera, sintetizzata nell’infelice espressione “salute riproduttiva”. Nascere, però, venire alla vita, è tema più profondo: ha a che fare con il senso, il significato del vivere, del suo perché, della destinazione di coloro che sono arrivati all’esistenza. L’atto del nascere cambia l’identità di chi ne è all’origine e mette in rilevo che essere padri e madri suscita benevolenza e onore non solo agli occhi di Dio ma anche a quelli altrui, visto che l’umano è molto sensibile alla stima che gli altri hanno di noi. Esserci lasciati alle spalle l’Italia patriarcale e autoritaria, aver superato il complesso del “mammismo” non significa sbarazzarsi anche della nobiltà delle figure del padre e della madre.

 

Generare, come sottolinea Comencini, può essere, oggi, una forma per realizzare la propria libertà. Mettere al mondo figli, ormai, significa svincolarsi con successo da un pregiudizio tanto più opprimente quanto più diffuso: questo figlio non s’ha da fare. Comenicini insiste: “Fare l’amore fortunatamente può non produrre più inevitabilmente un bambino ma può ancora produrlo? Questa è la domanda?”. Se solo avessimo posto questo astruso quesito alle varie generazioni di Homo Sapiens, nei secoli dei secoli, ci avrebbero presi per matti. Oggi, invece, ha senso. Buon senso. E ci ricorda Manzoni: “Il buon senso se ne stava nascosto per paura del senso comune”. 

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