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La battaglia sull'eutanasia che ha dimenticato il valore della vita umana

Ferdinando Cancelli

Mai una parola sulla realtà dei malati seguiti nei servizi domiciliari e hospice di cure palliative, i quali vogliono vivere e non morire. Mai una parola sulle reali motivazioni, anche economiche. Non sempre le buone intenzioni riescono a fermare le cattive conseguenze

La Corte ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”. Questo il testo del comunicato del 15 febbraio con il quale è stato giudicato inammissibile il referendum che avrebbe voluto abrogare parzialmente l’articolo 579 del codice penale sull’omicidio del consenziente. È stupefacente come le stesse persone che nel 2019, dopo la sentenza 242, inneggiavano alla Consulta come a un organo simbolo del progresso nel nostro paese adesso invece la vedano sotto una luce contraria. Il problema, anche di molte fonti di informazione, è che pochissimi, prima di gioire o di disperarsi, sembrano in grado di comprendere correttamente i termini del problema. La sentenza 242 del 2019 dichiarava infatti l’illegittimità a certe condizioni dell’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio), il quesito referendario si spingeva invece molto oltre e tentava di fatto di lasciare aperta la porta all’eutanasia intervenendo grossolanamente sull’articolo 579 del codice penale, liberalizzando di fatto ogni forma di omicidio del consenziente.

 

“Ogni diritto, in una società matura – scriveva qualche mese fa Luciano Violante esprimendo la propria preoccupazione – richiede l’esercizio responsabile delle facoltà che ne derivano per evitare di danneggiare sé stessi o gli altri”. In questo caso, e la Corte costituzionale lo ha ben compreso, per centrare un bersaglio si sarebbe scelto di fare fuoco a ogni costo anche su obiettivi collaterali, incuranti delle gravissime conseguenze. La vicenda, a pericolo scampato, mette in luce però alcuni aspetti che non possono essere tralasciati. In primis l’assoluto accanimento di chi, come Marco Cappato, compare in televisione a dire continuamente agli italiani che non essere a favore dell’eutanasia è segno di arretratezza culturale, dimenticando che il maggior segno di degrado culturale e morale non è il rifiutarsi di uccidere una persona che ce lo chiede ma il negare aspetti cruciali della realtà per distorcerla a proprio favore.

 

“J’ai eu le sentiment – scriveva Simone Weil a Georges Bernanos – que lorsque les autorités temporelles et spirituelles ont mis une categorie d’êtres humains en dehors de ceux don’t la vie a un prix, il n’est rien de plus naturel à l’homme que de tuer”. (“Ho avuto l’impressione che nel momento in cui le autorità temporali e spirituali hanno messo una categoria di esseri umani al di fuori di coloro la cui vita umana ha un valore, non c’è nulla di più naturale per l’uomo che il fatto di uccidere”). Mai una parola sulla realtà dei malati seguiti nei servizi domiciliari e hospice di cure palliative, i quali vogliono vivere e non morire. Mai una parola sulle vere motivazioni per togliere di mezzo i pazienti che costano, che non sono più produttivi, che non comprano più nulla: le ragioni economiche che spingono alcuni alla manipolazione del Diritto e della verità della vita umana pur di centrare l’obiettivo.

 

E stupisce che nella schiera dei “retrogradi” guardati con commiserazione da saccenti e progrediti personaggi “prigionieri delle buone intenzioni” finiscano anche giuristi laici di fama, rei di analizzare con razionalità e compostezza i pericoli che si vorrebbero nascondere dietro il paravento della libera scelta. In secondo luogo, alla luce di questa sentenza di inammissibilità, si è costretti a sottolineare che la posizione presa da parte dalla Chiesa cattolica solo poco giorni fa, quella di invocare una legge sul fine vita in Parlamento anche sdoganando a certe condizioni il suicidio assistito, pare adesso restare sulla scena come un imbarazzante manichino in un palcoscenico vuoto. La Corte costituzionale ha cancellato il referendum ma resta lo spettro di una discussione parlamentare condotta senza vere competenze, in aule semivuote, con toni ideologici e superficiali. Altro che “scegliere il male minore”: sicuramente qualcuno sarà in grado di prendere quel manichino, vestirlo con i panni del re e fargli commettere l’irreparabile quando ormai sarà troppo tardi per ripensarci. Per finire ancora con una frase di Luciano Violante: “Non sempre le buone intenzioni riescono a fermare le cattive conseguenze”.