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Bandiera bianca

Il piccolo difetto di #JeSuisJuif, la campagna contro l'antisemitismo in Francia

Antonio Gurrado

La nobile iniziativa francese ha solo un lieve limite, l'utilizzo della prima persona. Il rifiuto dell’antisemitismo deve incardinarsi sull’oggettività e non sulla soggettività, sui pronomi impersonali, non sull’io

Nobilissima negli intenti, la campagna #JeSuisJuif contro l’antisemitismo in Francia ha a mio parere un lieve difetto di forma, che non sta solo nell’utilizzo ormai obbligatorio del cancelletto rafforzativo, senza di cui pare non si possa più esprimere nessuna convinzione credibile. Temo non funzioni l’utilizzo della prima persona – “io sono ebreo” – che sì costituisce un evidente calco dell’indimenticata campagna #JeSuisCharlie, ma involontariamente sembra limitare l’adesione a tre tipologie: gli ebrei stessi, e ci mancherebbe; chi si sente erede o partecipe della cultura ebraica, nelle sue più varie e decisive declinazioni, dalla Torah in poi; chi è consapevole del fatto che siamo tutti ebrei per estensione, nel senso che, se oggi si inizia a sindacare o a cavillare sui diritti umani e politici degli ebrei in quanto tali, un domani qualcuno sindacherà o cavillerà sui nostri diritti di, che so, sanculotti, patiti della Sampdoria, ipocondriaci, boscimani, in quanto tali.

È parecchio, certo, ma non è abbastanza. La persecuzione degli ebrei si è storicamente manifestata tramite persone che non appartenevano a queste tre tipologie; inoltre, il rifiuto dell’antisemitismo deve incardinarsi sull’oggettività e non sulla soggettività, sui pronomi impersonali, non sull’io.

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