George Berkeley in un ritratto di John Smibert (Wikipedia)

Bandiera bianca

Il boicottaggio di Berkeley dalle università dà ragione alle sue idee

Antonio Gurrado

Per il filosofo irlandese le realtà non esiste se non viene percepita. Così la sua cancellazione dal Trinity College per mano dei fautori del woke finisce per confermare le sue teorie

Ho letto con grande interesse l’articolo di Giulio Meotti sulla cancellazione del nome di Berkeley dalla biblioteca del Trinity College Dublin. Il filosofo irlandese, del resto, possedeva schiavi e piantagioni in Rhode Island, quindi come tutti subisce oggi le conseguenze della sua lontana sconsideratezza. Fra le numerose notizie similari – oggi ho letto anche che a Oxford vogliono cambiare nome alla Sackler Library, intitolata a un antico produttore di oppiacei, però tenendosi i soldi che la famiglia Sackler ha versato fino al 2019 – mi sembra che questa di Berkeley le batta tutte per la specifica identità dell’interessato.

Il manuale di filosofia mi conferma infatti che George Berkeley (1685-1753) fu il teorico dell’esse est percipi. Sosteneva insomma che i soli oggetti della conoscenza fossero le idee, le quali costituiscono l’intera realtà in quanto è impossibile percepire un oggetto separatamente dalla concezione che se ne ha. Poiché le idee non esistono se non vengono percepite, allora basta non percepire la realtà perché non esista più. Chiaro, no?

Facciamo un esempio patico: se Berkeley è davvero esistito, ha davvero fatto il bibliotecario nell’istituzione che gli è intitolata, ha davvero posseduto schiavi in Rhode Island (e ha avvero creduto che le vittime della carestia irlandese del 1740 potessero venire curate col catrame), ecco che basta non percepire la sua idea, basta cancellarlo cambiando nome a una biblioteca, perché Berkeley non esista più, e con lui scompaiano gli schiavi, le piantagioni, la carestia e anche il catrame. Voilà. Strano modo di contestare un filosofo, dargli ragione per filo e per segno.

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