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bandiera bianca

I rischi dell'uno vale uno nel mondo degli editori

Antonio Gurrado

Così le case editrici si aprono a tutte le istanze che sorgono dal basso. E diventano indistinguibili dal pubblico

Nella storia della Random House che cancella Norman Mailer pur di non pubblicare il saggio “The White Negro” – raccontata da Giulio Meotti sul Foglio di oggi – colpisce soprattutto un dettaglio della motivazione: quelle pagine hanno fatto sentire a disagio un membro junior dello staff editoriale. Come tutto ciò che proviene dall’editoria, è un’indicazione su come si evolve il mercato. Significa infatti che una fra le più grandi case al mondo vuole far trasparire che le proprie scelte editoriali non vengono più effettuate in ragione di una gerarchia decisionale bensì secondo un sistema iperdemocratico in cui ciascun membro, non importa quanto junior, ha potere di veto.

   

La storia dell’editoria è tuttavia incardinata su un sano verticismo, secondo cui chi comanda indirizza le scelte: i grandi editori sono diventati tali perché qualcuno ha imposto dall’alto linee coraggiose, proposte idiosincratiche, esclusioni clamorose, innovazioni provocatorie. Decidere di non pubblicare Norman Mailer è più che legittimo – una casa editrice non può pubblicare tutto, deve sempre selezionare in base ai criteri che reputa opportuni – ma ascrivere la decisione ai vapori di un membro junior non è soltanto uno scarico di responsabilità. È un modo di far sentire al pubblico che le case editrici adesso sono aperte a tutte le istanze che sorgono dal basso; che sono organismi porosi la cui ricettività si preoccupa potenzialmente della reazione di ogni singolo lettore; che le case editrici ambiscono insomma a diventare indistinguibili dal pubblico, sarebbe a dire a diventare inutili.

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