Due bambini fotografati alla stazione di Hong Kong lo scorso 22 gennaio (Foto LaPresse)

Caccia al cinese immaginario

Antonio Gurrado

A Bologna un genitore ha deciso di ritirare il figlio da scuola perché in classe c'è un alunno cinese e ha minacciato di far causa all'istituto perché il preside ha accettato l'iscrizione. Ma il bambino non ha ancora iniziato a seguire le lezioni

C'è il virus (o “vairus”, per dirla con Luigi Di Maio) che si chiamava Corona ma è stato ribattezzato con quell'acronimo di cui non si capisce gran che. E c'è il virus (o “vairus”, visto che da noi il sovranismo è provincialismo) denunciato dai rappresentanti della comunità cinese in Italia, quello del razzismo. Gli episodi di aggressioni a passanti cinesi o ingiurie a chiunque abbia gli occhi a mandorla o diserzione a tappeto dei ristoranti esotici ormai sono già diventati cronaca noiosa. C'è bisogno di una novità, ed è questa: in una elementare di Bologna qualcuno ha deciso di ritirare il figlio da scuola perché in classe c'è un alunno cinese. Di più, ha minacciato di far causa all'istituto perché il preside ha accettato l'iscrizione di quest'alunno cinese. Il dettaglio succulento è tuttavia che questo bambino cinese in classe non c'è, non è ancora entrato a scuola, è una pura ipotesi nel campo del possibile; è arrivato in Italia a gennaio, quando l'epidemia non era ancora di moda, e al momento non ha ancora iniziato a seguire le lezioni. Nessun bambino lo conosce, nessun genitore può dargli un'identità, nessun medico può avanzare dubbi né certezze sulla sua cartella clinica. La nuova frontiera del virus (o “vairus”) è la caccia al cinese immaginario, talmente subdolo da contagiarci senza esserci.

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