Un codice etico sulla doppia vita di hater che ricoprono ruoli istituzionali

Antonio Gurrado

A Trento (sì, ancora) un capo di gabinetto di un assessorato gestiva un account Twitter che incitava all'odio

Non so se sia l’aria di montagna o cosa, fatto sta che alla Provincia di Trento – dopo il capo di gabinetto di un assessorato che si era fatto tatuare una svastica – questa settimana è spuntato un altro capo di gabinetto di un altro assessorato che, nel tempo libero, gestiva una fiorente attività di hater sui social. Niente di particolarmente significativo quanto a contenuti, le solite tirate volgari orecchiate altrove e ripetute con compiaciuta approssimazione come fossero grandi idee di una mente illuminata dall’anticonformismo: questo almeno si evince dai resoconti sui giornali, dato che l’account incriminato è stato fatto sparire. Pare che il massimo risultato sia stato farsi bloccare da Mara Carfagna. L’account era tuttavia coperto da pseudonimo, quindi qualcuno ha proposto un codice etico acciocché chi ricopre ruoli politici o istituzionali non possa condurre una doppia vita diffondendo odio e falsità su internet. Commendevole intento ma un po’ timido: ci vuole piuttosto un codice etico acciocché chi diffonde odio e falsità su internet non possa condurre una doppia vita ricoprendo ruoli politici o istituzionali.    

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