Un carro di carnevale in Germania dedicato a Trump (foto LaPresse)

Il diritto del popolo a farsi governare dal matto che preferisce

Antonio Gurrado

Tirare in ballo la salute mentale di Trump e dimenticare i princìpi democratici

La nuova rubrica di Andrew Sullivan sul New York Magazine esordisce facendo notare che le menzogne di Trump non sono fake news e nemmeno post truth, come oggi va di moda; sono la pervicace e solipsistica sostituzione della realtà dei fatti con una realtà immaginaria, che trae verità dalla convinzione con cui viene percepita ed esposta. È una diagnosi sindacabile ma indubbiamente efficace, specie dopo l'incidentale benché concitato annuncio di un attentato in Svezia che forse è stato un lapsus presidenziale, forse è stato un fraintendimento collettivo, fatto sta che non si è mai verificato. Ciò nondimeno, di questa teoria sulla follia di Re Donald non mi persuade un aspetto fondamentale: Sullivan paragona l'inquilino della Casa Bianca al padre squilibrato e manesco che non sente ragione e non ammette errori; anzi, al vicino che vi parla della tinta scarlatta del proprio salotto mentre voi vedete in modo chiaro e distinto che è blu. Entrambe queste tipologie di persone capitano: uno nasce e si ritrova un padre folle, uno cambia casa e si ritrova un vicino folle.

 

La differenza è che Trump non è capitato ma è stato eletto con un atto di volizione collettiva, pertanto se anche (per ipotesi accademica) fosse matto non ci sarebbe niente da fare: se lo è oggi, era matto già durante la campagna elettorale e quando è stato liberamente scelto da milioni di persone a contatto quotidiano coi suoi sintomi. È il bello della democrazia, e sperare che la salute mentale possa essere il grimaldello per la destituzione lederebbe gravemente il diritto del popolo a farsi governare dal matto che preferisce. Resta infatti da stabilire se siano poi normali i dimostranti che costruiscono un muro umano al confine col Messico, le dimostranti col pussy hat rosa, le celebrity democratiche che promettevano sesso orale a chi votava per Hillary Clinton.

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