Come è stato preso (vivo) Salah Abdeslam, l'ultimo killer di Parigi dopo quattro mesi di fuga

Redazione
Dopo 127 giorni la caccia all’uomo più ricercato d’Europa è finita. Un uomo in tuta, con un berretto bianco, è a terra leggermente ferito a una gamba. «Salah Abdeslam?». «Sono io».

Un uomo in tuta, con un berretto bianco, è a terra leggermente ferito a una gamba. «Salah Abdeslam?». «Sono io».

Anaïs Ginori, la Repubblica;

 

Dopo 127 giorni la caccia all’uomo più ricercato d’Europa è finita. Salah Abdeslam, nato il 15 settembre 1989 a Bruxelles, alto 1 metro e 75 centimetri, occhi marroni, capelli neri, unico sopravvissuto del commando che il 13 novembre scorso ha ammazzato 130 persone a Parigi, è stato arrestato nella città che, in questi quattro mesi, non ha mai lasciato. Bruxelles. Nel quartiere in cui era nato secolarizzato per poi radicalizzarsi. Molenbeek.

Carlo Bonini, Fabio Tonacci, la Repubblica;

 

Sono le 16.30 di venerdì quando decine di agenti dell’antiterrorismo belga (con sette poliziotti francesi) si avvicinano in colonna a un edificio di mattoni rossi, uno dei tanti. È il civico 79 di rue des Quatre Vents, una strada lunga e stretta a forte tasso di immigrazione magrebina. La casa è di due piani, di proprietà del comune. Accanto c’è una farmacia, un alimentari, una scuola neerlandese. Qualche metro più in là una moschea. Il traffico continua, la gente vede arrivare le teste di cuoio senza capire, poi qualcuno tira fuori un megafono: «Uscite, mani in alto!».

Anaïs Ginori, la Repubblica;

 

Gli agenti puntano i fucili alle finestre. Un uomo si affaccia dal secondo piano, alza le mani. Un elicottero sorvola l’aera, un drone filma l’operazione. Gli agenti non hanno bisogno di sfondare il portone, è aperto. Esplodono le prime granate, poi almeno una decina di raffiche di mitra. Salah Abdeslam non oppone resistenza, conferma la sua identità. Accanto a lui c’è Amin Choukri, anch’esso ricercato nell’ambito della strage di Parigi. Vengono ammanettati, fatti entrare in una Golf nera della polizia e portati all’ospedale di Saint-Pierre, in centro. Sono le 16.45.

Alberto D’Argenio, la Repubblica;

 

Centinaia di uomini delle forze speciali chiudono la zona. Ma a loro volta vengono circondati da gruppi di ragazzi del quartiere. Un’ambulanza esce dal palazzo dell’arresto, il silenzio viene rotto dai fischi. Nell’appartamento ci sono ancora tre uomini, arrivano gli echi di altri spari. Durerà fino alle 21.30, quando un poliziotto si attacca al megafono: gli abitanti di rue des Quatre Vents possono rientrare in casa. Alla fine della giornata saranno cinque le persone arrestate.

Alberto D’Argenio, la Repubblica;

 

Neppure un applauso ha accolto l’opera-zione. D’Arge-nio: «Fino a sera i giovani di Moleenbek, in stato di eccitazione, presseranno la polizia alternando sfottò in arabo e francese a lanci di bottiglie ai quali gli agenti risponderanno con diverse cariche in un clima da guerriglia urbana».

Alberto D’Argenio, la Repubblica;

 

Facciamo un salto indietro di 127 giorni. «Intorno alle 5 del mattino del 14 novembre i due complici venuti a recuperarlo per portarlo in Belgio incontrano Salah Abdeslam a Châtillon, poco fuori Parigi, davanti a un McDonald’s. “Era sfinito, in un bagno di sudore – riferiranno Hamza Attou e Mohamed Amri, arrestati il 16 novembre a Bruxelles –. Piangeva e gridava raccontando quello che aveva fatto. Ha detto che era in un’auto durante gli attentati, e aveva usato un kalashnikov per uccidere delle persone».

Stefano Montefiori, Corriere della Sera;

 

Era cominciata così la fuga dell’uomo che gli inquirenti sospettano essere il responsabile della logistica degli attentati parigini, in particolare per quanto riguarda il noleggio delle auto, il trasporto dei terroristi sui luoghi dei massacri, l’affitto degli appartamenti usati come covi, divenuto poi il terrorista che non voleva morire e che fino all’ultimo, a differenza degli altri nove uomini del commando del 13 novembre, ha cercato di scappare.

Stefano Montefiori, Corriere della Sera;

 

Bilal Hadfi, Ukasha al Iraqi e Ali al Iraqi si erano fatti saltare in aria davanti allo Stade de France. Ismaël Omar Mostefaï, Samy Amimour e Foued Mohamed-Aggad erano morti assieme alle loro 90 vittime al Bataclan. Brahim Abdeslam, il fratello di Salah, aveva azionato la cintura esplosiva in un ristorante del boulevard Voltaire, mentre per Chakib Akrouh e Abdelhamid Abaaoud è finita sparando e facendosi esplodere durante l’assalto delle forze speciali francesi pochi giorni dopo, il 18 novembre a Saint-Denis.

Stefano Montefiori, Corriere della Sera;

 

Salah invece, all’alba del 14 novembre, viaggiava verso il Belgio sdraiato sul sedile posteriore di una Golf, sprofondato nel giaccone e la testa nascosta sotto al cappuccio della felpa. «Molto nervoso, minacciava continuamente di farsi esplodere in auto, non voleva che rallentassimo», diranno i due uomini che cercarono di salvarlo. L’auto venne fermata tre volte dalla polizia francese: sull’autostrada nei pressi di Cambrai, non lontano dalla frontiera, alle 9 e 10, Salah Abdeslam dette all’agente persino il suo indirizzo di Molenbeek. Ma lo lasciano andare: in quelle ore Abdeslam non era ancora schedato.

Stefano Montefiori, Corriere della Sera;

 

Lo stesso giorno arriva a Bruxelles. Vuole cambiare as-petto, abbandona la felpa con cappuccio e compra dei jeans neri e una giacca, cerca di tingersi ma il barbiere ha finito la tintura. Allora si taglia i capelli a zero e si depila una parte del sopracciglio. Compra un cellulare da 20 euro e si fa portare a Schaerbeek, altra periferia di Bruxelles, non a Molenbeek infestata ormai di poliziotti.

Alberto D’Argenio, la Repubblica;

 

Il 16 novembre, tre giorni dopo l’attentato, la polizia aveva infatti scatenato una grande operazione a Molenbeek, ma non aveva trovato nessuno. Si cominciò allora a pensare che Salah fosse riuscito a lasciare il Belgio e a raggiungere la Siria. Non era così. L’8 gennaio, la polizia belga annuncia di avere scoperto un’impronta di Salah in un appartamento di Schaerbeek. Poi più niente.

Stefano Montefiori, Corriere della Sera;

 

La svolta, un po’ per caso, il 15 marzo quando sei poliziotti entrano in un appartamento che credono vuoto (acqua ed elettricità sono staccate) a Forest, ancora un sobborgo di Bruxelles. Invece trovano tre uomini. Uno, l’algerino Mohamed Belkaïd, comincia a sparare raffiche di kalashnikov e viene ucciso. Gli altri escono da una finestra sul retro e scappano sui tetti, uno dei due è Salah Abdeslam. Ma l’omertà che l’ha protetto per tante settimane sta per finire: un abitante di Molenbeek entra in un commissariato per dire dove si nasconde e parte il blitz finale.

Anaïs Ginori, la Repubblica;

 

Moussanet: «L’importante è che adesso Salah sia vivo. Dando agli inquirenti (Parigi ha già fatto domanda di estradizione) la possibilità di capire quale sia stato esattamente il suo ruolo. C’è infatti l’ipotesi che anche lui avesse il compito di uccidere (il comunicato di rivendicazione dell’Isis, solitamente molto preciso, parlava di un attentato nel 18° arrondissement di Parigi che non c’è stato) e per qualche ragione ignota abbia deciso di rinunciare, o non abbia potuto portare a termine la missione. Ma soprattutto, sempre che Abdeslam parli, l’interrogatorio può fare luce sull’intera catena – ideativa, progettuale, operativa – degli attentati, chiarendo le tante zone d’ombra e aggiungendo nomi a quelli che già si conoscono».

Marco Moussanet, Il Sole 24 Ore;

 

 

a cura di Francesco Billi


Note (tutte dai giornali del 19/3)

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