“Le milizie cristiane o finiremo come montoni sgozzati”, dice il patriarca

Matteo Matzuzzi

Il gesuita Ryscavage contro il "pacifismo a ogni costo". Ai cristiani preda dell’estremismo islamico il settimanale francese Point dedica la sua ultima copertina, chiedendosi come la chiesa dovrebbe reagire davanti alla minaccia portata dal califfo Abu Bakr al Baghdadi e dai suoi sgherri tagliagole attivi dalla Tripolitania al deserto iracheno.

Roma. Ai cristiani preda dell’estremismo islamico il settimanale francese Point dedica la sua ultima copertina, chiedendosi come la chiesa dovrebbe reagire davanti alla minaccia portata dal califfo Abu Bakr al Baghdadi e dai suoi sgherri tagliagole attivi dalla Tripolitania al deserto iracheno. “Chi salverà i copti e gli assiri dagli islamisti?”, è la domanda che campeggia vicino alla foto di una fedele copta nella cattedrale di San Marco, al Cairo. Qualcuno s’organizza con le milizie di combattenti volontari, come accade nei dintorni di Mosul, dove duemila  tra ragazzi e padri di famiglia hanno ricevuto a metà febbraio anche la visita e la benedizione del vescovo Youhanna Boutros Moshe, che saluntandoli li aveva incoraggiati ad andare avanti: “Sono orgoglioso del vostro coraggio, dimostrazione di fede e lealtà alla patria”. A chi s’è detto perplesso, vedendo in quelle squadre di cristiani pronti a difendere con le armi la propria terra una riedizione moderna delle crociate, ha risposto il patriarca della chiesa siro-cattolica, Ephrem Joseph Younan, intervistato dal periodico Vie: “Le milizie sono il male minore. Qual è l’alternativa? Si vuole per caso che le nostre comunità vengano sgozzate come fossero montoni? Io sto dalla parte di chi vorrà difendersi e morire con l’onore d’aver combattuto il male e difeso gli innocenti”. Quanto alla sopravvivenza dei cristiani nel vicino oriente, “l’ho detto e lo ripeto ancora: le democrazie occidentali devono svegliarsi per respingere il pericolo dell’islam politico. I cristiani qui non potranno assicurarsi da soli un avvenire sicuro. Attendono che i paesi dell’occidente siano fedeli ai princìpi scolpiti sui loro monumenti, ‘libertà, uguaglianza e fraternità’ per tutti i popoli e tutte le nazioni, soprattutto nel bacino del Mediterraneo”. Se per difendere le proprie case e terre è necessario l’uso delle armi, si proceda. “E’ evidente che se la situazione non consente una pacificazione, diventa legittimo ricorrere alla violenza bellica”, aveva detto a questo giornale il 28 febbraio lo storico della chiesa Daniele Menozzi, visto che “fermare l’aggressore ingiusto rientra nei princìpi del diritto naturale e nei limiti della guerra giusta”.

 

Una linea condivisa da padre Richard Ryscavage, gesuita, docente di Sociologia e Studi internazionali alla Fairfield University nonché fondatore e direttore del Centro per la fede e la vita pubblica dello stesso ateneo del Connecticut. “C’è sempre stata una tendenza pacifista nelle chiese cristiane. In quella cattolica, specialmente dal pontificato di Giovanni XXIII e la sua enciclica ‘Pacem in Terris’, il pacifismo ha goduto di una sorta di riscoperta presso alcuni ambienti. A quanti sostengono che la chiesa deve sempre perorare la causa della pace a ogni costo, io vorrei però ricordare ciò che per secoli è stato conosciuto come la teoria della guerra giusta. Rimane un classico e fondamentale insegnamento della chiesa”. E’ chiaro, dice padre Ryscavage al Foglio, “che secondo l’approccio della guerra giusta si ha il diritto di muovere guerra per difendersi. Ci sono limiti che devono essere rispettati, la guerra difensiva deve essere proporzionata alla violenza subita, ma credo che considerato ciò che sta facendo il terrorismo islamico estremista in molte parti del pianeta, la chiesa cattolica ha la possibilità di giustificare un’azione militare”. Il nostro interlocutore richiama il “potente discorso” tenuto da Benedetto XVI davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nell’aprile del 2008: “Joseph Ratzinger esortò la comunità internazionale ad adottare il principio della ‘responsabilità di proteggere’. In sostanza, l’allora Pontefice spiegò che se uno stato nazionale non è in grado di proteggere i propri cittadini da forme di terrorismo attuate da attori non statali, la comunità internazionale ha la responsabilità di intervenire. Capisco – prosegue il gesuita – che quella della guerra giusta sia una dottrina controversa, tanto che alcuni stati come la Cina vi si sono opposti fermamente. Ma è un principio fondamentale”. Alla luce della situazione in vicino oriente e Libia, non è che ci siano molte soluzioni sul tappeto, spiega Ryscavage: “Si sta tentando di spazzare via i cristiani dalla loro terra. E’ un genocidio. La pace e il dialogo sono sì la risposta preferenziale, ma non dobbiamo mai dimenticare che il male su questa Terra esiste e può infettare le persone. E quando accade ciò, il dialogo e la pace sono impossibili, senza una qualche forma di intervento militare”.

Di più su questi argomenti:
  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.