Fedeli cristiani in una chiesa di Mosul (foto Reuters)

Ai combattenti cristiani di Mosul arriva la benedizione del vescovo

Matteo Matzuzzi

L’arcivescovo Youhanna Boutros Moshe, della chiesa siro-cattolica di Mosul, nei giorni scorsi ha visitato un campo di addestramento delle Unità di protezione della piana di Ninive, dalla scorsa estate terreno privilegiato per le scorribande delle squadre del califfo Abu Bakr al Baghdadi.

Roma. L’arcivescovo Youhanna Boutros Moshe, della chiesa siro-cattolica di Mosul, nei giorni scorsi ha visitato un campo di addestramento delle Unità di protezione della piana di Ninive, dalla scorsa estate terreno privilegiato per le scorribande delle squadre del califfo Abu Bakr al Baghdadi. Il presule ha ringraziato i circa duemila volontari cristiani – i numeri li ha forniti il deputato curdo Jacob Yaco – che in questi mesi hanno scelto di lasciare occupazioni e famiglie per andare a combattere, gratuitamente e spesso male equipaggiati, i miliziani jihadisti. Mons. Moshe li ha “incoraggiati ad andare avanti”, ricordando che quella terra era loro “prima ancora di Cristo”. Prima di invocare sui volontari la benedizione divina, s’è detto “orgoglioso del  loro coraggio, dimostrazione di fede e lealtà alla patria”. L’obiettivo, ha spiegato Yaco, anch’egli cristiano, è di “liberare la piana di Ninive e di mettere in sicurezza quest’area”. Prima, però, c’è da fare i conti con i cristiani assiri e caldei sequestrati dalle milizie di al Baghdadi e deportati nelle roccaforti dello Stato islamico: “Se le prime notizie parlavano di novanta sequestrati, adesso siamo in grado di dire che gli ostaggi nelle mani dei jihadisti sono intorno ai trecentocinquanta. Solo le verifiche e le raccolte di informazioni nei luoghi di raccolta dei rifugiati permettono, con il passare dei giorni, di stilare le liste dei sequestrati e di avere un quadro più chiaro della situazione”, ha detto all’agenzia Fides mons. Jacques Behnan Hindo, vescovo della arcieparchia di Hassaké-Nisibi, in Siria. Secondo quanto riportano alcuni media di Erbil, i sequestrati sarebbero stati prima ammassati in un centro di smistamento nei pressi del monte Abdulaziz, quindi smistati nei centri ancora sotto il controllo dello Stato islamico. Il nunzio a Damasco, mons. Mario Zenari, aveva descritto a Tv2000, la rete dei vescovi italiani la dinamica del sequestro: “I combattenti dell’Isis sono piombati giù dalle montagne, lì ci sono undici villaggi abitati in prevalenza da cristiani assiri e nestoriani. E’ un’invasione. I jihadisti cacciati da una parte si prendono altre zone, altri villaggi”.

 

“Purtroppo – ha osservato al Servizio di informazione religiosa mons. Shlemon Warduni, vescovo caldeo ausiliare di Baghdad – quanto sta accadendo in Siria, nei villaggi cristiani assiri nella regione del Khabour non mi sorprende. Dov’è la comunità internazionale? Lo dico da mesi: se le cose continueranno ad andare così, l’occidente si ritroverà l’Isis sulla soglia di casa. E sta accadendo. Oggi l’occidente comincia ad avere paura di questa gentaglia, persone senza Dio, senza coscienza e senza cuore”. L’Osservatore Romano dà conto di quindici cristiani uccisi in Siria, tra cui una donna decapitata, nel governatorato di Hassaké, al confine con l’Iraq: “Molte delle vittime stavano difendendo i loro villaggi e le loro famiglie”, ha detto l’archimandrita Emanuel Youkhana.

 

[**Video_box_2**]Per fermare quello che il patriarca siro-cattolico Youssef III Younan ha definito a Radio Vaticana “un genocidio”, appellandosi “ai nostri fratelli e sorelle dell’Europa, specialmente ai cattolici, ai veri cattolici, di pensare ai loro fratelli e sorelle del medio oriente che stanno sopportando queste persecuzioni”, si fa strada anche oltretevere il sostegno a un intervento internazionale. Il cardinale segretario di stato, Pietro Parolin, ne ha parlato lo scorso 18 febbraio durante il vertice con il governo italiano in ricordo dei Patti lateranensi. Guardando al precipitare della situazione in Libia, Parolin ha aperto alla possibilità di un’azione militare, chiarendo che questa “deve essere portata avanti nel quadro del diritto internazionale e sotto l’ombrello delle Nazioni Unite”. Meno diplomatico è stato invece il portavoce della piccola chiesa cattolica d’Egitto, padre Rafiq Greiche: “L’occidente apra gli occhi. Il terrorismo fa morti anche in Europa”. I raid ordinati dal presidente Abdel Fattah al Sisi in Libia dopo la decapitazione di ventuno copti “sono esattamente ciò che la chiesa cattolica definisce come ‘guerra giusta’”. Il professor Daniele Menozzi, storico della chiesa e autore di “Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti” (il Mulino) vede nelle considerazioni di Parolin la conferma di “un cambiamento della situazione oggettiva sul campo. Le parole di Francesco mai avevano escluso il ricorso a una guerra giusta. Semmai, quel tipo di opzione era stato messo in secondo piano. Ora viene riproposto, anche perché è evidente che se la situazione non consente una pacificazione, diventa legittimo ricorrere alla violenza bellica”. Il Papa, lo scorso agosto aveva parlato della necessità di “fermare l’aggressore ingiusto”, parole subito seguite dalla precisazione “non dico bombardare o fare la guerra. Dico fermarlo”. A giudizio di Menozzi, “fermare l’aggressore ingiusto rientra nei princìpi del diritto naturale e nei limiti della guerra giusta. Direi che il problema non è tanto sul fine spiegato dal Pontefice, bensì sulle modalità. E qui entriamo in una casistica che si è aggiornata spesso nel corso del tempo. La chiesa non ha in mano le armi per intervenire nella contesa bellica, bensì tanti strumenti simbolici. Il problema è che questi possono essere altrettanto pericolosi e da qui deriva la grande prudenza nel metterli in atto, considerato anche che si torna a parlare di ‘crociati’. Certamente – prosegue il nostro interlocutore – se è vero che la chiesa mette in campo i suoi strumenti per favorire il più possibile la distensione, è anche vero che non c’è un’esclusione di principio, di fronte a una situazione che precipita, a dare una legittimazione alle armi”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.