Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni (foto LaPresse)

Così Gentiloni studia l'importanza economica della sua visita a Cuba

Maurizio Stefanini

Dopo la visita del ministro degli Esteri è attesa un’importante delegazione di imprenditori italiani. Al momento l’Italia è il secondo partner commerciale di L'Avana nell’Unione Europea.

L’Amministrazione Obama ha deciso di “aprire la scatola” di Cuba, il regime di Raúl Castro si riposiziona, e l’Italia va a vedere il ruolo che può giocare in questo riposizionamento. È questo il senso della visita di tre giorni che il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a partire da martedì. Con lui ci sarà il sottosegretario per l’America Latina Mario Giro, che già il 16 ottobre all’Avana aveva preparato il terreno incontrando il vice ministro degli Esteri cubano Rogelio Sierra Díaz. E così, in preparazione dei prossimi sviluppi, alla Farnesina si è tenuto martedì 3 marzo il workshop  “Il re-engagement di Cuba nel sistema internazionale”. Promotori: l’Unità Analisi e Programmazione del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e l’Ispi.

 

Non c’è di mezzo solo la politica: dopo Gentiloni a Cuba è attesa un’importante delegazione di imprenditori italiani. Durante l’incontro grande attenzione è stata posta all’analisi dell’economia cubana, grazie al rapporto di Anna Ayuso Pozo, senior researcher del Barcelona Center for International Affairs-Cidob. Al momento l’Italia è il secondo partner commerciale di Cuba nell’Unione Europea con il 3 per cento di intercambi. Si tratta di 340 milioni di euro, di cui 270 milioni di export e 70 di import: un attivo a nostro vantaggio di ben 200 milioni. “In questo senso Cuba potrebbe rappresentare un’opportunità politica ed economica unica, considerando che il 2015 sarà l’anno dell’Italia in America Latina”, ricordava il documento di presentazione del workshop. “Sotto l’impulso della tradizionale diplomazia economica, l’Italia potrebbe creare dunque importanti opportunità d’investimento e cooperazione e/o parallelamente impostare una collaborazione politica con il paese su temi trasversali di impatto internazionale (come ad esempio la salvaguardia ambientale, la lotta al narcotraffico, o il traffico di essere umani)”.

 

Tradizionalmente gli investimenti italiani a Cuba sono rivolti soprattutto al turismo. Ma con le nuove leggi volute da Raúl Castro nell’ambito delle sue riforme economiche i rapporti commerciali potrebbero comprendere anche l’edilizia, l’energia, il riciclo e l’industria leggera. Nel workshop sono state ricordate anche le numerose imprese italiane che hanno lavorato in subappalto per Odebrecht, il colosso delle infrastrutture che ha provveduto a 800 dei 1092 milioni di dollari dell’investimento brasiliano nell’ampliamento del porto cubano di Mariel. Inaugurato nel gennaio 2014 da Dilma Rousseff, il nuovo Mariel punta a diventare un importante hub di smistamento nelle comunicazioni tra Atlantico e Pacifico, con l’ampliamento del Canale di Panama e la possibile realizzazione di un nuovo Canale del Nicaragua. E alcuni analisti ritengono anzi che questo scenario abbia avuto un ruolo anche nella distensione tra Barack Obama e Raúl Castro e benedetta da potenti lobby che non vorrebbero farsi scappar via l’affare.

 

L’economia non è stata però la motivazione principale della svolta statunitense, nell’altra importante analisi che al workshop ha fatto Peter Schechter, direttore dell’Adrienne Arsht Latin America Center, Atlantic Council di Washington. “È un think tank”, ha spiegato, “che ha sperimentato in prima persona la recente ripresa di interesse della casa Bianca per l’America Latina”. La nuova strategia statunitense, il cui regista sarebbe il vice-presidente Biden, punterebbe invece soprattutto all’obiettivo politico di togliere al regime castrista l’alibi dell’embargo per giustificare i propri storici problemi. A rendere possibile la nuova impostazione, i sondaggi secondo cui ormai Cuba non è più giudicata pericolo dai cittadini statunitensi: la pensera così il 60-65 per cento, e in Florida questo dato arriva addirittura al 65-70 per cento. Insomma, il dialogo con L’Avana non è più una buccia da banana elettorale.

 

Entrambi i principali relatori hanno però convenuto sui due grandi problemi della riforma economica di Raúl Castro. Primo: la mancanza di capitali. Secondo: la mancanza di cultura imprenditoriale. E qui potrebbe entrare in gioco l’Italia.

 

Se è evidente che si aprono possibilità d’investimento va sottolineato allo stesso tempo che persistono le difficoltà del regime cubano ad adattarsi ad un’apertura pluralista: non solo in campo politico, ma anche in campo economico. Anna Ayuso Pozo ha ricordato in particolare la contraddizione per cui il governo ha forzato 400.000 ex-dipendenti pubblici a mettersi in proprio, ma poi tende a impedire che questi cuentapropistas crescano troppo.

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