Stefano Pessina

L'imprenditore italiano Pessina scatena i businessman contro i labour

Alberto Brambilla

Il Partito laburista inglese ha inaugurato la campagna elettorale con un attacco congiunto, su stampa e social media, all’imprenditore di origini pescaresi Stefano Pessina, chief executive della conglomerata della distribuzione farmaceutica anglo-americana Walgreens Boots Alliance, un colosso del settore.

Roma. Il Partito laburista inglese ha inaugurato la campagna elettorale con un attacco congiunto, su stampa e social media, all’imprenditore di origini pescaresi Stefano Pessina, chief executive della conglomerata della distribuzione farmaceutica anglo-americana Walgreens Boots Alliance, un colosso del settore quotato a Londra e New York. Un boomerang, per il partito di Ed Miliband.

 

In un’intervista sul Telegraph, Pessina aveva criticato il piano economico dei laburisti a tre mesi dalle elezioni generali dicendo che “non aiuta l’industria, il paese, e non sarà utile nemmeno a loro”. Il titolo un po’ corsaro, fuori contesto, ha accesso polemiche: i laburisti al governo sarebbero una “catastrofe”. Pessina, 73 anni, aveva solo avvertito dell’atteggiamento avverso al business della sinistra inglese. Miliband d’altronde definì gli imprenditori “predatori”, il suo partito vagheggiò l’aumento della tassa sulle corporation e, con cadenza mensile, riesuma l’idea di una patrimoniale su grandi capitali e abitazioni di lusso.

 

Tuttavia la reazione dei laburisti è stata feroce, tra accuse improprie di elusione fiscale e discriminazioni personali dirette a Pessina in quanto residente nel Principato di Monaco, dove ha una bella casa e un panfilo che non usa quasi mai: “Non paga le tasse qui”. Il primo sasso l’ha lanciato Chuka Umunna, cancelliere ombra dello Scacchiere. E’ seguita un’escalation di tuìt di altri parlamentari laburisti. L’acme l’ha toccato Miliband stesso: “Non penso che la gente in Gran Bretagna guardi con favore a qualcuno che evita di pagare le tasse e pretende di insegnare loro come devono votare”, ovvero per i conservatori, nel ragionamento malizioso del leader laburista.

 

Pessina è un self-made man: partito dall’azienda di famiglia a Posillipo, ha costruito una multinazionale senza mai rimettere piede nel pantano burocratico italiano. Nel 2006 ha concluso la fusione tra la sua Alliance UniChem Group e la catena inglese Boots, poi unitesi all’americana Walgreens. Ora è il 102esimo uomo più ricco del mondo con un patrimonio di 11,6 miliardi di dollari. Fortuna costruita assieme alla compagna Ornella Barra, con la quale condivide vita e passione per il lavoro: Barra è top manager di Alliance Boots (è nel cda delle Assicurazioni Generali).

 

[**Video_box_2**]L’offensiva a sinistra insiste su passaporti e contributi fiscali, e questo non è piaciuto a una fetta della comunità del business inglese fatta di imprenditori di differenti provenienze e nazionalità. Più del 40 per cento dei capi esecutivi delle cento aziende quotate alla Borsa di Londra sono stranieri. Lo stesso vale per un quarto dei presidenti. E poi con quale diritto, dicono in molti, si può mettere a tacere un imprenditore come Pessina che sul suolo inglese gestisce 2.500 farmacie e dà di che vivere a 70 mila famiglie?

 

L’hanno difeso pubblicamente Sir Ian Cheshire (già capo della catena di bricolage B&Q), Sir Nigel Rudd (industriale di spicco e presidente dell’aeroporto di Heathrow), Luke Johnson (boss della catena Pizza Express) e Lord Stuart Rose, businessman di rango che rilanciò la conglomerata britannica della grande distribuzione Marks and Sparks nonché – particolare significativo – già consigliere personale dell’ex primo ministro laburista Gordon Brown. Tutti si sono uniti in difesa della libertà di pensiero e di critica di Pessina e così i laburisti hanno ottenuto l’effetto contrario a quello voluto, apparendo come dei retrogradi bacchettoni. “L’attacco dei laburisti a una delle industrie inglesi preminenti ricorda quell’andazzo anti business che è passato di moda decenni fa”, ha scritto Rose sul Daily Mail di ieri. “Dovrebbero farsi un giro tra le aziende, vedrebbero che le imprese, grandi e piccole, non sono fatte di avidi tycoon ma di uomini e donne che lavorano. Questa è la vera faccia degli affari. Non sono nemici. Ma la spina dorsale dell’economia. Meritano rispetto e sostegno dai nostri politici”.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.