Houellebecq, geniale e solforoso

Marina Valensise

Il romanzo fatale del momento letto di corsa tra prese d’ostaggio, pompini e decadenza francese. La letteratura che irrompe nello psicodramma, lo scrittore repellente se ne va malinconico, la promozione è pura cronaca

Où est le bec?, si domandavano ieri mattina gli umoristi di Europe1. Houellebecq è partito. Ha lasciato Parigi. E’ andato via per qualche giorno, in montagna, sulla neve. Destinazione sconosciuta. Sconvolto per l’attentato contro Charlie Hebdo e l’assassinio di Bernard Maris, l’economista antiliberale e amico che lo considerava un genio e gli aveva dedicato un saggio (“Houellebecq économiste”, Flammarion editore), ha deciso di sospendere il lancio di “Soumission”, distopia fantapolitica (pubblicato da Flammarion e giovedì in Italia da Bompiani) sull’elezione nel 2022 di un musulmano alla presidenza della Repubblica e sulla concomitante conversione incruenta e senza drammi di un professore della Sorbona all’islam, per mero opportunismo sentimental-professionale. Prima di darsi alla macchia però, lo scrittore più controverso del momento, ha rilasciato un’intervista al “Grand Journal” di Canal Plus, una sorta di “Striscia la notizia” ma più sofisticato e con ospiti in studio pronti alla gag. E per limitare i danni della scanzonatura, ha preteso di registrarla, facendo slittare lo show di un giorno. Così ieri sera, con la sua solita flemma, distillando lentamente le parole, ha respinto in toni fermi l’accusa di islamofobia. Non è vero che il suo romanzo non sia piaciuto ai musulmani, anzi, molti l’hanno presa bene questa favola della conversione soft al Corano. E soprattutto non è vero che il libro si presta alla strumentalizzazione del Fronte nazionale. Ci provassero, ha sibilato Houellebecq accendendo per un attimo la pupilla blu notte, e minacciando, Let’s try, per vedere cosa succede.

 

Dunque la sfida aperta s’aggiunge allo psicodramma di queste ore di follia urbana, con assalti al supermercato di Vincennes, e prese di ostaggi in una tipografia a nord di Parigi che sembrano riprodurre alcune pagine del suo romanzo. Certo l’uomo è sfuggente. La personalità complessa, ambigua, perversa forse, di sicuro ambivalente. Houellebecq sembra ora depresso, ma l’attimo dopo appare furbissimo. Dà l’impressione di essere solo uno sfigato, brutto, repellente, malato. Ma un attimo dopo si conferma come un seduttore, dotato di una delle menti più brillanti in circolazione in Francia, e non solo. Con la sua faccia assente, il volto scavato, la frangia crespa e rada, si ostina ad accreditarsi come il prototipo del francese medio, squallido, banale, sempre in cerca di avventure, sentimentalmente instabile, atrabiliare, maniaco di mali immaginari, professionalmente insoddisfatto di sé e del suo ruolo, anche se scrive su uno scrittore decadente o pubblica bestseller. Si mette a nudo senza vergogna, mostrando i suoi tic, i suoi difetti, il suo lato debole, per meglio indurre i suoi lettori a una perfetta identificazione tra se stesso e i personaggi dei suoi romanzi, piccoli eroi negativi dei nostri giorni, eroi mancati, nihilisti, disgraziati, vestiti male, come lui, depressi più di lui, in balìa di nomadismo erotico-sentimentale, indefiniti e soli come una scarpa vecchia gettata sotto una poltrona polverosa, anche quando si avventurano sulle strade di provincia, dove ancora vive il ricordo di res gestae gloriose, come la difesa della cristianità da parte di Carlo Martello, anche quando approdano in un alberghetto del Quercy, per essere guardati con sospetto dall’ostessa della Francia profonda, severa e inaccessibile nella sua tinta cotonata e priva di riguardo verso quei solitari vacanzieri senza una meta, senza una donna al fianco, dunque senza un vero senso della vita.

 

E’ quello che succede qui, in questo romanzo, al protagonista e alter ergo di Houellebecq. Alla vigilia delle presidenziali – siamo nella primavera del 2022 – François, 44 anni, professore della Sorbona studioso di Huysmans, cerca di sottrarsi ai disordini e alla guerra civile incipiente fra le strade di Parigi, in balìa di bande di salafiti integralisti, mentre cova l’ascesa politica del partito dei musulmani moderati, e gli ebrei francesi fanno Alya verso Israele, anche a rischio di disordini ben maggiori. Il nostro eroe decide di riparare per qualche tempo in provincia ma anche lì il clima è incandescente. Autogrill presi d’assalto, cassiere sgozzate, maghrebini con kalashnikov stesi a terra. Un’atmosfera da incubo, con silenzio stampa, radio con le frequenze inceppate, televisioni senza segnali, telefonini senza campo. Tutto profeticamente vero insomma. Persino quando finge e inventa una trama di sana pianta, Houellebecq capta la realtà profonda delle cose, anticipando con la fantasia lo scenario tragico che abbiamo sotto gli occhi.

 

E infatti basta leggerlo per scoprirne il genio che mette nel perlustrare gli anfratti più indecenti della coscienza contemporanea, divertendosi a scavare con precisione anatomica le crepe logiche, a mettere a nudo le debolezze, l’insulsaggine dei nostri modi di essere e di fare: sia che descriva l’impasse della politica in balìa di una sinistra che non crede più nei suoi ideali e di una destra che non ne ha mai avuti, sia che insista sulle aporie di coppie, le incongruenze, le scene comico-grottesche della vita quotidiana e dei disperati che le subiscono. Il mondo nostro occidentale è tragico, grottesco, malato, agonizzante, ma la resa è esilarante. Leggete per esempio a pagina 92 dell’edizione francese, la scena del barbecue. Il professore della Sorbona cambia banca, si aggira nei centri commerciali di Place d’Italie (dove vive anche lo scrittore) fra negozietti che, in disarmo, stanno per sparire, pensa, come le negrette sculettanti in short adenoidali, con le loro merci lussureggianti, l’atmosfera cambia, siamo alle soglie di una conversione generale, di una trasfigurazione dei valori, via l’edonismo, ritorna il patriarcato. François ripensa a un vecchio compagno di università, Bruno Deslandes. Dopo la tesi di Laforgue aveva vinto un concorso al ministero delle Finanze e si era sposato con un’Annalisa, incontrata a una festa di un sabato sera e poi responsabile del servizio marketing di un servizio di telefonia mobile, con uno stipendio molto più lauto del suo. Villetta a Montigny-le-Bretonneux, nella banlieue middle class a sud di Parigi, due figli, una famiglia normale. Fra i suoi compagni di università Deslandes era l’unico ad averla: “Tutti gli altri infatti continuavano a vagare tra un po’ di Meetic, un po’ di speed dating, e molta solitudine” fatta di pasti precotti scaldati al microonde, di sveltine senza futuro con escort reclutate su internet, di serate su YouPorn come monadi senza finestre. Una sera di fine giugno, i due si incontrano per caso sulla RER, e scatta subito l’invito a cena nel giardino della villetta.

 

La scena è esilarante. Non resisto a riscriverla. “L’errore era stato di organizzare il barbecue un venerdì sera, la moglie aveva lavorato tutta la giornata, era tornata a casa esausta, si era montata la testa a forza di rivedere in tv ‘Un dîner presque parfait’ (seguitissima gara culinaria tra gastronomi sconosciuti in cucine improvvisate ndr) e aveva previsto cose troppo sofisticate, il soufflé allo spugnolo era senza speranza, ma nel momento in cui divenne evidente che pure il guacamole sarebbe venuto male ho creduto che stesse per scoppiare in singhiozzi, il figlio di tre anni ha iniziato a lanciare degli urli e Bruno, che aveva cominciato a occuparsi degli invitati non poteva essere di alcun aiuto per rigirare le salsicce, allora venni in suo aiuto, e dal fondo della sua disperazione, Annalisa mi gettò uno sguardo perso di gratitudine, il barbecue era piu complesso di quanto non pensassi, le cotolette di agnello si ricoprivano a tutta fiamma di una pellicola carbonizzata nerastra, e probabilmente cancerogena, il fuoco doveva essere troppo forte, ma io non ci capivo niente, e se mi fossi lanciato nel meccanismo avrei rischiato di far esplodere la bottiglia di butano, eravano soli di fronte a un mucchio di carne carbonizzata, mentre gli altri invitati si scolavano le bottiglie di rosé senza prestare la minima attenzione, con sollievo vidi arrivare il temporale, le prime gocce caddero su di noi, oblique e glaciali, ci fu una ritirata immediata dentro il living, la serata evolveva verso il buffet freddo”.

 

Grottesco, tragico, esilarante, profondo, profetico, realistico, mettetela come volete, fatto è che il romanzo di Houellebecq sembra essere anche il libro meno letto o quello letto con meno attenzione e più pregiudizi. Sarà che è uscito nel momento peggiore, il giorno stesso dell’attentato contro Charlie Hebdo, dodici morti, vari feriti, un paese sotto choc, la reazione planetaria in difesa della libertà di stampa e della libertà di ridere, e due giorni di caccia all’uomo, con sparatorie in pieno giorno, prese di ostaggi, assalti al supermercato, che sembrano trasformare la Francia nel set di un thriller infernale. Sarà che è un libro profetico, come quasi tutti i romanzi di Houellebecq, che da scrittore possente sa puntare sempre all’essenziale, prendere di mira l’urticante, l’impostura, per metterla a nudo in modo impeccabile, come se fosse un marziano, o il persiano di Montesquieu. Sarà che persino quei pazzi di Charlie Hebdo ne avevano fatto una bandiera, mettendo in copertina dell’ultimo numero la sua caricatura, con il viso avvinazzato, i capelli di stoppa gialla dentro un cappellino da mago Merlino, l’eterna sigaretta tra l’anulare e il medio e due annunci in forma di nuvolette: “Nel 2015 perdo i denti”, “Nel 2022 faccio il ramadan”. Ma resta il fatto che il libro è guardato con sospetto dai giornali dell’establishment come il Monde e il Nouvel Obs, dove è oggetto di articoli impacciati, evidentemente a disagio, ostili. E continua a fomentare polemiche incandescenti, come quella di Edwy Plenel, l’ex caporedattore del Monde e fondatore del sito Mediapart, un trotzkista sempre sulle barricate che in nome della sua presunta islamofobia avrebbe voluto addirittura bandirlo dai telegiornali, e adesso insiste nel dire che la trama del romazo è tributaria della teoria del grand remplacement, diffusa da Renaud Camus, suffragata da Eric Zemmour e per questo pericolosissima agli occhi dei multiculturalisti difensori del secolarismo e dell’universalismo democratico. Pazienza se è una proiezione bella e buona, forse priva di fondamento. Anche Libération pubblica recensioni allarmate come quella di Daniel Schneidermann che addirittura simula il rifiuto che avrebbe dovuto opporre l’editore se il manoscritto non fosse stato di Michel Houellebecq (“tema buono, ma trattato male, personaggi inconsistenti, conversione per motivi di carriera, riduce il libro a una pochade, mentre il tema andrebbe approfondito, e poi mancano i personaggi femminili di spicco, non si sa se per scelta o per trascuratezza”). Ma per capire questo corto circuito bisogna leggere il romanzo.

 

E leggendolo si scoprirà quanto siano pretestuose le polemiche, e infondate le accuse, le denunce e le riserve, e quanto conti al contrario, l’allegoria con la sua levità, la sorpresa malinconica, lo stile stralunato e grottesco, la combinazione di ironia e verità, di sarcasmo e di disperazione che incantano tanti lettori, lasciandone altri sgomenti, e sono il vero marchio di fabbrica di Houellebecq, come egli stesso ammette in un’intervista al Nouvel Obs, per spiegare la sua invulnerabilità agli attacchi da destra e sinistra.

 

Intanto il tema vero non è l’islam né l’islamofobia, che secondo alcuni sarebbe l’altra faccia della medaglia dell’islamofilia. Certo il romanzo pullula di disordini, la Francia è sull’orlo della guerra civile. Houellebecq colloca la sua fantapolitica nella primavera del 2022, in piena campagna per le presidenziali. Ci sono assalti ai seggi, scontri in piazza, persino attentati. Per sfuggire alla violenza urbana, il protagonista prende armi e bagagli, e parte alla volta del Quercy, dove farà tappa al santuario della Madonna nera di Rocamadour in cerca di fede, ma invano. Ma il tema vero di questa fiaba fantapolitica non è la politica, che pure ha la sua parte, non è il patto tra i democratici di destra e di sinistra, e cioè i socialisti delusi da Hollande e Manuel Valls e il centrodestra di Jean-François Copé che non crede in niente. Per sbarrare la strada a Marine Le Pen, i due partiti decidono all’ultimo momento di riportare i loro voti sul candidato islamico moderato, fondatore del partito della Fraternità musulmana, Mohammad Ben Abbas, figlio di un pizzicagnolo arabo promosso dal sistema di selezione meritocratica delle élite repubblicane, e infatti è laureato al Politecnico e poi all’Ecole normale, e dotato di un genio lungimirante, visto che fonda la politica sui valori, e sul ritorno al patriarcato, anziché sull’economia e sul tasso di crescita del pil, e sogna pure di rilanciare il ruolo della Francia nel mondo stringendo un’alleanza coi paesi del Mediterraneo in nome dell’islamismo moderato.

 

[**Video_box_2**]Machiavellicamente, il nuovo presidente islamico si sceglie come premier il centrista François Bayrou, vero leader centrista guascone democristiano e liberale che nel 2007 tentò l’alleanza coi socialisti sostenendo al secondo turno Ségolène Royal e ne uscì a pezzi. Bayrou, per inciso, viene letteralmente tagliato a fettine da Houellebecq, che ne affida la disamina a un funzionario dei servizi segreti amico: “Insostituibile perché perfettamente scemo; il suo progetto si è sempre limitato al desiderio di accedere con ogni mezzo alla ‘magistratura suprema’”. Ma al di là della perizia politica dello scrittore che inventa una trauma plausibile affidandosi al puro gioco della logica (chi rappresenterà un giorno i musulmani stretti nella morsa del rifiuto della destra xenofoba e del sospetto nei confronti della sinistra che vuole i matrimoni gay?) il vero tema di questo romanzo è l’amore, la ricerca dell’amore, come passione genuina per l’altro da sé, come spinta a trascendere il proprio egoismo, e uscire dai confini dell’io, campo che appare sempre più rinsecchito e apatico oltreché fonte di angoscia continua per l’individuo contemporaneo. Lo dimostrano le peripezie erotico-sentimentali del protagonista. François ama Myriam, una studentessa ebrea di ventidue anni dai glutei compatti, un po’ sfuggente, lievemente perversa. I due non si vedono per un po’. Il giorno del suo compleanno, lei chiama lui alle dieci di sera e si presenta a casa sua in minigonna e calze nere. Non ha un regalo per il professore, ma gli regala un pompino, che Houellebecq descrive con la sapienza di una geisha, senza lasciare nulla all’immaginazione.

 

E’ un altro dato della letteratura contemporanea. Julien Sorel sfiorava la mano della sua amata ed entrava in una zona d’ombra, lasciando il narratore fuori dalla stanza da letto. Madame Bovary osava di più nelle braccia di Rodolphe. Poi arrivarono Swann e Odette de Crécy e la soglia della libido iniziò a intorbidirsi anche per il lettore. E’ passato un secolo, e ora anche chi aborre il genere da trivio delle “Cinquanta sfumature di grigio” deve entrare sotto le lenzuola, è invitato a perlustrare glande e scroto dei personaggi da romanzo. Houellebecq come Carrère, e non è escluso che tra i due ci sia una qualche gara, si cimentano nella prodezza della rappresentazione di una fellatio e l’annesso piacere, fino allo spasimo, fino all’applauso. Così va il mondo e dunque la letteratura. Difficile sognare una scena di castità o la sublimazione trobadorica dell’eros al tempo dei selfie, e di YouPorn, delle escort a portata di clic. Ci sarà pure una spiegazione di questa deriva tragica e ultracontemporanea. Il merito di Houellebecq è giustappunto quella di fornirla coi suoi romanzi.

 

Cos’è l’amore oggi? Il modo di ricompensare chi ci dà piacere. E poiché nella cultura dell’edonismo materialistico e nihilista l’unico piacere della vita rimasto ormai è solo quello dei sensi, della carne, del sesso, l’unica possibilità di amare sarà legata al corpo. Allora che succede se il corpo non risponde, se decade, si ammala, degera, e muore? Ed è qui che interviene il mistero della conversione, come seconda chance, come via della redenzione, e della salvezza. Houellebecq aveva in mente la conversione di un professore ateo al cattolicesimo. Poi ha cambiato idea, e ha introdotto la variante islamica della sottomissione. La felicità non è l’autonomia, ma sta nella devozione all’altro, la sottomissione al suo piacere, al suo desiderio, quella delle ragazzine che giocano sul Tgv mentre il marito si offusca al telefono parlando di affari. Quella dell’amante di suo padre, che ha trovato in quel vecchio qualcosa da amare. Libro malinconico e struggente, disperato e vero, dove il filo del sarcasmo viene a patti con la pietà per l’essere umano e per la sua imperfezione, mettendo a fuoco il vero senso del limite della nostra vita di individualisti occidentali. La libertà porta dritto a sbattere contro un muro. E’ per questo forse che questo romanzo risulta indigesto. E’ per questo che l’islam di Houellebecq fa paura.

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