Matteo Renzi e Angela Merkel (foto AP)

Le due facce del semestre

Europeisti a 24 carati e d'establishment spingono Renzi contro Berlino

Marco Valerio Lo Prete

Napolitano loda il “nuovo corso” di Padoan. Si rifà vedere Prodi anti Merkel. Gli assist diversi di CDB e Banca d’Italia.

Roma. Fino a qualche tempo fa i calzoni corti di Matteo Renzi, nella piovosa Bruxelles, si facevano notare perfino più che a Roma. Stonavano troppo e dunque era meglio tenersene alla larga. Così non c’era ex ministro, ex commissario europeo o uomo di mondo che, nel repentino passaggio di consegne del febbraio scorso tra Enrico Letta e il Rottamatore, non scommettesse sulla rapida e rovinosa disfatta dell’ex sindaco alle prese con la rodata eurotecnocrazia. Passano i mesi, il semestre di presidenza italiana dell’Ue si sta per concludere e sui suoi risultati l’unanimità dei giudizi è tutt’altro che raggiunta, tuttavia oggi non sono pochi gli esponenti dell’establishment italiano, soprattutto di matrice filoeuropeista, che accettano di fiancheggiare l’esecutivo, di sposare perfino i suoi toni un po’ guasconi, nel confronto con Bruxelles e soprattutto con Berlino. A partire dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (che, già al Quirinale, nel 2007 scrisse un libro sull’europeista italiano per antonomasia, Altiero Spinelli). Passando per Romano Prodi, già presidente della Commissione Ue, premier “Mr. euro” e fondatore dell’Ulivo, o Carlo De Benedetti, finanziere, editore di Repubblica e già tessera numero 1 del Pd. Per finire con le prime linee della Banca d’Italia.

 

Renzi ieri, presentando al Parlamento l’ultimo Consiglio dei capi di governo dell’Ue del 2014, in programma per domani, è tornato su un repertorio retorico spesso sfoggiato all’interno dei confini italiani. La descrizione di una “Europa al bivio”, la citazione di Luigi Einaudi su “un ideale umano e moderno dell’Europa”, l’appello “o cambiamo la direzione dell’Europa tornando all’ideale oppure rischiamo di essere perduti”, la necessità di “puntare sulla crescita” e la stoccata conclusiva su “la politica che non deve lasciare l’Europa ai burocrati, l’Europa non deve lasciare l’Europa alla tecnocrazia”. Fuor di retorica, il governo per il momento ha ottenuto un time out politico dalla Commissione Ue. Valutando la legge di stabilità in corso d’approvazione in Parlamento, Bruxelles ha fatto capire di apprezzare gli sforzi riformatori, perciò attenderà qualche settimana prima di un giudizio definitivo sui conti pubblici del paese. Tale giudizio però non è ancora scritto. Inoltre la congiuntura economica dell’Eurozona volge di nuovo al peggio, così come la coesione politica tra le capitali. Se Atene piange (il rischio di elezioni anticipate terrorizza gli investitori), Francoforte non ride (Mario Draghi ha pronto il secondo colpo di bazooka della Banca centrale europea, il Quantitative easing, ma le opposizioni tedesche frenano). Così ieri sera il presidente Napolitano, nel tradizionale scambio di auguri con i rappresentanti delle istituzioni e della società civile, ha ricordato di essersi impegnato in prima persona per garantire la “continuità istituzionale” durante il semestre di presidenza italiana dell’Ue. Ha lodato il governo Renzi che “ha potuto operare validamente” per arrivare a un “nuovo corso delle politiche finanziarie e di bilancio dei 28, oltre i limiti divenuti soffocanti e controproducenti dell’austerità”. “E molto hanno contato in questo il valore e l’affidabilità che si riconoscono al ministro Padoan”, ha aggiunto il presidente uscente citando il ministro tecno-politico da lui fortemente voluto a Via XX Settembre.

 

[**Video_box_2**]Romano Prodi al Quirinale non ci pensa nemmeno, ripete invano e non creduta la portavoce del professore e deputata del Pd Sandra Zampa. Nemmeno lei però smentisce il dialogo sui dossier internazionali, brussellesi inclusi, tra l’attuale presidente del Consiglio e l’ex presidente del Consiglio, ripreso con un faccia a faccia di due giorni fa. Prodi, per stare soltanto ai suoi ultimi interventi sul Messaggero, critica con forza Berlino per “gli oneri che non vuole pagare”; auspica un “parallelo esercizio di responsabilità” dei tedeschi (noi italiani le riforme, loro gli investimenti pubblici); sottolinea la “miopia Ue” per un piano d’investimenti comuni troppo timido. Ieri De Benedetti, sul confindustriale Sole 24 Ore, è tornato a sostenere tesi non dissimili riguardo il “preoccupante immobilismo” europeo. L’editore, renzianoscettico della prima ora ma poi ravvedutosi, sostiene che “la colpa di un eventuale crollo dell’Eurosistema se la prenderanno i greci, e forse gli italiani, ma è alla Germania che è mancata la leadership necessaria a farsi carico del destino dell’Europa”. Infine, due giorni fa, anche Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, è intervenuto con veemenza inusitata a sostegno di una politica monetaria espansiva da parte della Bce. A costo di violare il bon ton del perfetto europeista, il banchiere centrale italiano ha ribattuto direttamente allo scettico governatore della Bundesbank, Jens Weidmann. Renzi in cuor suo ringrazia, nella speranza che tutto ciò possa tornare utile in qualche modo nelle prossime settimane.