Joshua Wong, uno dei leader della protesta a Hong Kong (foto AP)

Pechino teme più i parlamentari inglesi che i ragazzi di Hong Kong

Redazione

Hanno chiesto scusa, Joshua Wong e gli altri leader degli studenti di Hong Kong, e ieri sera si sono inchinati davanti alla folla malconcia in segno di sottomissione.

Roma. Hanno chiesto scusa, Joshua Wong e gli altri leader degli studenti di Hong Kong, e ieri sera si sono inchinati davanti alla folla malconcia in segno di sottomissione. I nostri piani erano sbagliati, non siamo riusciti a contenere le violenze, e se ieri vi siete presi le botte e gli spray urticanti in faccia la colpa è nostra, scusate. Poi hanno annunciato, Wong e gli altri, che inizieranno lo sciopero della fame fino a che il governo non darà loro ascolto, segno che nessuna iniziativa, nessuna occupazione e perfino nessuna violenza da parte degli studenti è riuscita a smuovere quello status quo di indifferenza e isolamento che sta soffocando lentamente il movimento per la democrazia e il suffragio universale nell’ex colonia inglese. C’era molta eccitazione, domenica sera, quando i leader degli studenti hanno annunciato di avere pronto un nuovo piano per uscire dall’impasse. Si parlava di “escalation” non violenta, di una mossa che avrebbe costretto il governatore Leung Chun-ying a scendere a patti, o quanto meno a dialogare. Dopo due mesi di stallo, dopo che il governo di Hong Kong si è chiuso nell’ostracismo e con la città ormai stanca dei disagi e del traffico bloccato, gli studenti hanno bisogno di un’idea per sbloccare la situazione. Ma domenica l’eccitazione è scemata quando si è scoperto che l’idea di Wong e degli altri era un’altra mossa dettata dalla frustrazione: occupare quella Lung Wo Road, la strada davanti al palazzo del governatore, che gli studenti cercano di prendere da due mesi, e da cui sono continuamente cacciati. Ci hanno provato, gli studenti, a occupare Lung Wo. Hanno caricato in massa, hanno alzato barricate e sono stati sgomberati dalla polizia. Poi ci hanno riprovato un’altra e un’altra volta, fino a ieri mattina, in una battaglia che è stata la più violenta dai primi giorni della protesta, con manganellate e lacrimogeni e spray urticanti – e un’unica differenza: questa volta gli scontri li avevano iniziati gli studenti. Alla fine della battaglia i manifestanti erano sconfitti e contusi, e la piazza mormorava contro i suoi leader ragazzini. C’è chi si chiede se è stata la scelta giusta lasciare il comando del movimento al diciottenne Wong e ai suoi colleghi di poco più grandi, con i leader adulti, i veterani del gruppo Occupy, che da settimane sono in ombra e chiedono di ripensare la strategia, perché il movimento per la democrazia ormai sembra a un punto morto, e anche l’annuncio dello sciopero della fame, forma massima e nobile di protesta nonviolenta, appare come una mossa improvvisata, frutto della disperazione più che di un piano concreto. Martedì in giornata i tre leader storici di Occupy Hong Kong, Benny Tai, Chan Kin-man e il reverendo Chu Yiu Ming si sono consegnati volontariamente alla polizia in segno di protesta e di disaccordo con i leader degli studenti.

 

Così per ora Pechino appare l’unica vera vincitrice della partita a Hong Kong. Il regime ha saputo individuare e arginare i pericoli. Lo ha dimostrato anche domenica, quando ha negato l’ingresso in città a un gruppo di membri della commissione Esteri del Parlamento inglese che chiedeva di entrare a Hong Kong per verificare che la Cina non stesse violando i trattati sulla restituzione della colonia inglese a Pechino – quel regime di “uno stato, due sistemi” deciso da Margaret Thatcher e Deng Xiaoping nel 1984. Secondo l’eccordo, entrato in vigore nel 1997, Hong Kong sarebbe stata territorio cinese ma avrebbe goduto di libertà e diritti occidentali. Ma quest’autunno, con una nuova proposta di riforma elettorale, Pechino ha messo in chiaro che la democrazia di tipo occidentale non metterà mai piede a Hong Kong. Questo ha dato il via alle proteste in città, e alle critiche contro il premier inglese Cameron. Troppo morbido con Pechino, dicono, non difende l’ex colonia di sua maestà, non protesta nemmeno quando cacciano i suoi parlamentari. Ma gli studenti di Hong Kong stanno diventando come i monaci del Tibet e il Dalai Lama. Chi ha il coraggio di mettere in pericolo affari miliardari con Pechino per i ragazzini di Admiralty?

Di più su questi argomenti: