Scontri a Gerusalemme est (foto LaPresse)

Sei morti in due mesi

Perché ora gli attacchi a sorpresa vengono da Gerusalemme est

Rolla Scolari

C’è una nuova atmosfera di paura nelle città israeliane e i giovani palestinesi fanno la Terza Intifada (ma non si dice). Niente divise in libera uscita.

Milano. Se hai 18 anni e vivi a Gerusalemme sai che una nuova Intifada non è più soltanto argomento di discussione tra politologi quando i genitori ti proibiscono di uscire in centro la sera, nei locali su Rivlin Street, per paura di attacchi. Negli ultimi due mesi sono rimasti uccisi in azioni terroristiche di “lupi solitari” più israeliani che negli ultimi due anni: sei persone sono morte, circa cento sono state ferite, palestinesi e arabi israeliani sono stati uccisi in scontri con polizia o esercito. L’ultimo episodio di violenza è di ieri, quando un ragazzo arabo di 21 anni è stato ucciso da un proiettile sparato da militari israeliani nella zona di Hebron. L’esercito cercava di disperdere circa 150 palestinesi che lanciavano sassi e bottiglie incendiarie contro le automobili.

 

Yonathan ha 18 anni e come altri suoi coetanei è preoccupato. Tra tre settimane partirà per militare e non vuole ritrovarsi nel mezzo di una Terza Intifada, evocata da mesi dai giornali locali e internazionali, discussa dagli esperti che ponderano se è ormai giunto il momento di utilizzare l’espressione. “Con gli amici, in famiglia parliamo già di Terza Intifada”, spiega. E lui che al telefono da Gerusalemme ci racconta di amiche che evitano il centro la sera, di amici al servizio militare cui è stato permesso di non indossare la divisa tornando a casa in licenza per non attirare l’attenzione, soprattutto se abitano in quartieri vicini ai settori arabi, di colleghi arabi spaventati tanto quanto gli ebrei, preoccupati di perdere il lavoro se le tensioni portassero alla restrizione degli spostamenti.

 

Da luglio, quando tre adolescenti israeliani sono stati rapiti in Cisgiordania e ritrovati morti in un campo vicino a Hebron e dopo l’uccisione di un giovane palestinese bruciato vivo, la situazione è peggiorata e le tensioni hanno contagiato zone arabo-israeliane del nord, toccato perfino la “bolla” della dolce vita di Tel Aviv. Ieri, un soldato israeliano è stato ferito durante scontri a Gerusalemme est. Lunedì, in incidenti separati – a Tel Aviv e nei pressi di un insediamento in Cisgiordania – un soldato  di 20 anni e una giovane di 25 sono stati uccisi, accoltellati.

 

Durante il weekend, vicino alla cittadina araba di Nazareth, nel nord, un arabo-israeliano è stato ucciso dalla polizia dopo un tentativo d’assalto. Nei mesi passati, due automobili guidate da palestinesi hanno investito e ucciso persone in attesa alla fermata del tram, tra loro una neonata. L’esercito nelle scorse ore ha deciso d’inviare due battaglioni in più in Cisgiordania, la polizia di dispiegare mille agenti tra Tel Aviv e Gerusalemme.

 

[**Video_box_2**]Sul quotidiano Yedioth Ahronoth, Alex Fishman parla di “un senso di oppressiva minaccia alla sicurezza personale. Tutti iniziano a chiedersi: devo proprio guidare fino a Gerusalemme o salire su un autobus?”. Perché è soprattutto il settore arabo della città santa e contesa a preoccupare. Il quotidiano Haaretz parla di “anomalia” di Gerusalemme est e cita gli studi del Center for the Renewal of Israeli Democracy: durante la Seconda Intifada, dal 2000 al 2005, soltanto tre dei 30 attacchi nella città sono stati portati a termine da residenti di Gerusalemme. Il numero di cittadini coinvolti in attacchi è invece cresciuto dal 2008, mentre è sceso quello degli abitanti della Cisgiordania.

 

I palestinesi spiegano il fenomeno citando tre fattori, scrive Haaretz: “La costruzione della barriera di separazione che ha avuto un impatto severo sulla vita economica e sociale di Gerusalemme; le sempre più frequenti visite di ebrei sul Monte del Tempio (o Spianata delle Moschee, ndr); l’aumento di insediamenti israeliani nei quartieri palestinesi dell’est della città”. Questo agiterebbe soprattutto i giovani. All’origine degli attacchi ci sono, scrive Yedioth Ahronoth, ragazzi sui 20 anni, non sposati, facili a soccombere all’incitamento sui social network e sui media legati a Hamas e Jihad islamico, che contano sull”effetto domino”.

 

Così, in una Gerusalemme tristemente abituata all’allerta, dove autobus e ristoranti restano comunque pieni, le tensioni portano ad aggiustamenti. Un suo abitante ci racconta di come i fatti delle ultime settimane abbiano avuto impatto per esempio sulle gite di classe dei figli: uno è stato sul mar Morto e l’autobus invece di fare il consueto tragitto di 30 minuti attraverso il deserto, per evitare l’est di Gerusalemme e i villaggi arabi è passato per Bersheeva, nel sud d’Israele, allungando il percorso di due ore. La visita al Muro del pianto della figlia è stata cancellata.

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