Matteo Renzi (foto LaPresse)

Un tfr per domare i banchieri pigri

Redazione

Il progetto del premier Matteo Renzi di mettere il 50 per cento del tfr dal 2015 in busta paga ha sollevato critiche di organismi imprenditoriali e dei sindacati. Ed è stato accolto con prudenza dalle banche, investite attraverso l’Abi di trovare un modo per non fare mancare liquidità alle imprese.

Il progetto del premier Matteo Renzi di mettere il 50 per cento del trattamento di fine rapporto (tfr) dal 2015 in busta paga ha sollevato critiche di organismi imprenditoriali e dei sindacati. Ed è stato accolto con prudenza dalle banche, investite attraverso l’Abi di trovare un modo per non fare mancare, in caso, liquidità alle imprese. Federico Ghizzoni, ad di Unicredit, ha detto che non “si tirerà indietro” e ha compreso l’intento del governo di sferzare gli istituti affinché usino i soldi presi a prestito dalla Banca centrale europea, o la liquidità in cassa, per le piccole imprese. Il tfr, visto così, è un grimaldello. Le banche italiane sono state tra le più reattive agli stimoli di Draghi: col primo round di prestiti hanno prenotato 23 miliardi, il 28 per cento del totale. “Sono libere di fare quello che vogliono, ma è ovvio che debbano essere dati alle Piccole e medie imprese”, ha detto ieri il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco accanto a Mario Draghi al vertice Bce tenutosi a Napoli. Varrà come moral suasion? Dalle parole di Visco si intuisce una sollecitazione al sistema bancario a non accontentarsi di usare i “soldi di Draghi” per incamerare liquidità o per comperare Bot. Le nuove politiche non sono state concepite per il quieto vivere dei banchieri, ma per metterli nelle condizioni di fare il loro mestiere con intraprendenza, anche nel difficile scenario attuale.

 

A sostegno del progetto renziano è intervenuto l’ad di Fca Sergio Marchionne: “L’obiettivo è giusto, e la proposta va nella direzione giusta per dare liquidità alle famiglie e va sostenuta anche se ci costa”. Per il settore Auto graverebbe sulla rete di distribuzione, i cui concessionari sono imprese con meno di 50 addetti, che hanno diritto di trattenere il tfr per autofinanziarsi, anziché doverlo versare all’Inps o ai fondi pensione. Indirettamente quella di Marchionne è una frecciata ai sindacalisti, che si occupano in modo miope dei bilanci dell’Inps e degli enti di previdenza integrativa, in cui essi hanno posizioni di potere senza rendersi conto che il futuro degli istituti della sicurezza sociale dipende dalla ripresa di economia e occupazione: dalla crescita e non dalla conservazione delle rendite (finanziarie) acquisite.

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