Il palazzo della Bce a Francoforte (Foto Lapresse)

Sorrideranno solo le banche virtuose

Alberto Brambilla

Assieme ai liquidi arrivano le verifiche su conti e nuova governance.

Roma. I banchieri hanno avuto un altro zuccherino da Mario Draghi, un altro incentivo per dare una scossa al mercato del credito dell’Eurozona. Con i tassi di finanziamento quasi a zero le banche – ieri galvanizzate in Borsa, più 5 per cento l’indice del settore a Piazza Affari – saranno incentivate a prestare denaro e troveranno più attraenti i finanziamenti su larga scala della Bce mirati a fornire prestiti all’economia reale, il cosiddetto programma Targeted long term refinancing operation, che ha l’obiettivo di lungo periodo d’invertire il processo deflazionistico in corso attraverso la ripresa degli investimenti. Si tratta di 1.000 miliardi di prestiti a tassi agevolati e spalmati su quattro anni. La prima tranche (400 miliardi) verrà elergita alla fine di questo mese. I banchieri italiani si sono già prenotati. Secondo indiscrezioni raccolte da Bloomberg, hanno già avanzato la loro “application” individuale. Le prime sette banche nazionali avrebbero prenotato 30,3 miliardi. La fetta più consistente da 13 miliardi fa gola a Intesa Sanpaolo, Unicredit ne vorrebbe 7, il Monte dei Paschi invece 3. La corsa degli istituti italiani non si ferma allo sportello di Mario Draghi.

 

A partire dal 20 settembre, cominceranno le processioni a Francoforte. Al cospetto del “banker in chief” e del suo staff deputato alla vigilanza bancaria, i funzionari degli istituti di credito dovranno perfezionare le ultime verifiche sulla correttezza della documentazione e soprattutto delle informazioni spedite nel corso dell’ultimo anno a Francoforte, dove si stanno ultimando il processo di revisione dei bilanci (Asset quality review) e le verifiche patrimoniali per condurre gli stess test. La Bce aveva già avvertito che “non ci saranno sconti”, un modo per dare insindacabile credibilità alla verifica dello stato di salute del sistema bancario europeo. Ovvero la garanzia di evitare una replica degli stress test del 2011 nei quali, ad esempio, il rischio procurato dai malandati istituti irlandesi o ciprioti venne ampiamente sottovalutato. L’inizio della pubblicazione degli stress test ha una data infausta, venerdì 17 ottobre. Non serve evocare la numerologia spicciola: ai presagi di sventura ci ha pensato la banca d’affari americana Goldman Sachs. Un sondaggio tra 125 investitori globali pubblicato nei giorni scorsi ha allarmato Monte dei Paschi, Banco Popolare e Banca popolare di Milano. E’ probabile, dicono gli operatori interpellati, che non passino l’esame così come altre sei banche di altri paesi, dalla Spagna alla Grecia, e anche la tedesca Commerzbank. Si vedrà se avranno ragione i menagrami (non proprio immacolati) del santuario della finanza internazionale. Le scadenze dettate dalla Bce non riguardano solo gli esami patrimoniali. A partire dal 4 novembre, ha certificato ieri la Banca centrale europea in un comunicato, comincerà la vigilanza diretta dell’Eurotower su 120 istituti “significativi” dell’Eurozona – l’85 per cento del settore bancario dell’area –, sono 14 quelli italiani. Alcuni istituti hanno cominciato a riformarsi per rispondere alle direttive della Banca d’Italia indirizzate in particolare a chi tuttora utilizza la governance duale, già criticata da Draghi nel 2008 quand’era governatore. A luglio Intesa Sanpaolo ha approvato le modifiche statutarie per conferire al Consiglio di sorveglianza le scelte strategiche, a scapito del Consiglio di gestione (finora la stanza dei bottoni), ma ha rinviato la questione più spinosa: una riduzione del numero dei consiglieri, in Intesa sono 22 (ma possono arrivare a 32 per statuto). A Ca’ de Sass le fondazioni azioniste, che controllano circa il 20 per cento delle quote, arrivano a esprimere l’80 per cento dei consiglieri, di fatto segnalati dalla politica locale o espressione della società civile. C’è da chiedersi se le fondazioni azioniste saranno d’accordo nel ridursi gli incarichi. Per le banche vale la stessa stilettata lanciata ieri da Draghi all’indirizzo dei governi: non è un “grand bargaing”, non c’è scambio (liquidità in cambio di riforme), ognuno dovrà comunque fare il suo dovere.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.