A naso. Il portiere belga Courtois guarda passare un tiro innocuo dell’Aston Villa nel 3-0 del Chelsea a Stamford Bridge (foto AP)

Il gol dell'ex

Jack O'Malley

Ha detto bene Zeman, commentando il 4-1 del Cagliari a San Siro contro l’Inter, che “fino a ieri noi dovevamo andare in B e l’Inter era da scudetto”. Non biasimo i giornalisti sportivi – non troppo, questa volta – impegnati a inventarsi ogni giorno una scusa per fottere qualche moneta a lettori ingenui dando loro giudizi universali e definitivi dopo ogni partita che il dio del calcio manda sui campi in erba di tutto il mondo.

Londra. Ha detto bene Zeman, commentando il 4-1 del Cagliari a San Siro contro l’Inter, che “fino a ieri noi dovevamo andare in B e l’Inter era da scudetto”. Non biasimo i giornalisti sportivi – non troppo, questa volta – impegnati a inventarsi ogni giorno una scusa per fottere qualche moneta a lettori ingenui dando loro giudizi universali e definitivi dopo ogni partita che il dio del calcio manda sui campi in erba di tutto il mondo. Però non se ne può più di leggere nelle pagine sportive gli stessi identici discorsi che il giorno prima si facevano in curva rollando una canna o in tribuna dopo la terza birra presa al buffet gratuito. Va bene che il calcio vive di episodi, circostanze fugaci e istanti più fatui di una parata di Abbiati, ma provare a pensare, prima di scrivere, aiuterebbe. Noi intanto ci godiamo l’ennesimo italiano snobbato in patria ed eroe in Inghilterra, quel Pellè che sta facendo diventare il Southampton la Sampdoria della Premier League (e qua gli intrecci intrigherebbero i pigri, dato che i Saints sono allenati da Koeman) e che sabato ha infilato nella porta del QPR un gol in rovesciata che rivedremo spesso quest’anno. Voi tenetevi pure Zaza. Per il resto il Chelsea si scrolla di dosso la pausa-nostalgia dopo il gol di Lampard e macina l’Aston Villa con tre pere tre, il Manchester United sembra un Milan un po’ più figo e l’Everton prova una goduria non da poco segnando il gol dell’1-1 al 92’ nel derby con il Liverpool. Lo confesso: la mediocrità della serie A mi inquieta quasi quanto una puntata della “Domenica sportiva”: da noi anche le partite noiose come l’ultimo Arsenal-Tottenham sono un evento, possibile che non abbiate ancora capito il trucco? Evidentemente no, dato che assisto divertito al declino delle ex grandi come il Milan, e mi fa tenerezza vedere Pippo Inzaghi che dopo un pareggio contro una neopromossa dice che non ha nulla da rimproverare alla sua squadra.

 

Blatte. Venerdì scorso è successa una cosa terribile, e quando dico terribile intendo un gradino più in basso dell’ascesa del Califfato e dell’Inter di Mazzarri: mi sono trovato a esultare per un’iniziativa di Blatter. L’uomo che ha creato una cricca esclusivamente votata alla rovina del calcio – e incidentalmente al mantenimento del potere, importante distinguere le cause dalle conseguenze – ha finalmente annunciato l’inizio della fine della proprietà dei cartellini da parte di soggetti terzi, tipo fondi d’investimento o altre scatole cinesi che comprano, rivendono, speculano sulla tratta dei calciatori. Ora, nulla da eccepire sul comprare, sul rivendere e sullo speculare, ma in questo mondo c’è merce e merce. Non tutte le commodity possono essere trattate allo stesso modo, e la finanziarizzazione del calcio va fermata perché in noi romantici ancora alberga l’idea che il calcio vada gestito da chi lo conosce e lo ama. Meglio essere governati da pessimi amanti del calcio che da fondi d’investimento senza volto. Sette anni fa Blatter aveva promesso di mettere fine alla pratica, adesso dice che la Fifa lo farà davvero, ovviamente con un periodo di transizione che alimenta i sospetti che anche questo proposito vada ad avvizzire nella rete burocratica della Fifa, roba che al confronto l’agenzia delle entrate dello Zimbabwe sembra un apparato efficiente. Mi ci sono voluti giorni di silenzio e abbondanti libagioni di brandy per riprendermi dalla consonanza con Blatter. Al risveglio per fortuna mi sono subito trovato in disaccordo con Blatter che ha negato a Gibilterra l’ingresso nella Fifa, invocando qualche articolo di qualche statuto, di quelli che volentieri vìola quando gli torna comodo. La Fifa nega un diritto che financo – e sottolineo financo – la Uefa era stata in grado di riconoscere.

 

Tanya Robinson, moglie del difensore dello Stoke City Bardsley, indossa due pecette nere proprio lì in segno di lutto per gli ultimi deludenti risultati della squadra del marito

 

[**Video_box_2**]Chissenefrega. Mehdi Benatia è molto contento di essere a Monaco, dice, posto dove la gente, a differenza di Roma, non lo ferma per strada. Che è un bel modo per dire che non se lo caga nessuno. Ma lui è contento così, la gente è cortese e la città è pulita, “molto diversa da Roma e dal Marocco”. I romanisti non devono aver preso molto bene l’uscita, da ascrivere comunque nel grande genere giornalistico “intervista risentita dell’ex”, basato sull’estrapolazione sistematica di frasi dal contesto e su un generico senso di rivalsa che invariabilmente “mette pepe” da qualche parte. E il titolo “Benatia: la Roma bene in Italia, ma in Europa…” non ce lo toglie nessuno. La polemica non può che essere accoppiata con l’altro grande genere, la pretattica inventata, sagra della trasformazione del condizionale in indicativo: “Roma ti batto” è l’improbabile frase attribuita a Manuel Pellegrini prima della partita fra Roma e Manchester City, quando ovviamente il tecnico ripeteva le tautologie che tutti sono tenuti a dire, tipo “potremmo vincere”. A meno di cataclismi qualcuno vincerà e qualcun altro perderà, oppure finirà con un pareggio. E se la Roma vince sopravvivremo ugualmente.

 

Si consiglia di leggere questo articolo consultando un mappamondo Jack's

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