L'allenatore dell'Inter Walter Mazzarri (foto LaPresse)

L'Inter di Mazzarri e i numeri di una disfatta

Sandro Bocchio

Il tecnico dovrà raddrizzare una classifica che oggi langue ancorata a un decimo posto e che pare ancora più deludente se confrontata con la passata stagione: sei punti in meno e in sole sei giornate. Salutati in estate anche gli ultimi superstiti del Triplete, i loro successori si stanno dimostrando tremendamente limitati.

Almeno nel calcio, i numeri sono pressoché incontestabili. Ovvio, ci sarà sempre qualcuno pronto a piegarli ai propri progetti: succede dappertutto, perché non farlo anche con il pallone? Ma una classifica è una classifica e, a fine anno, i tuoi destini dipendono dalle cifre che avrai piazzato in ogni casella. Particolare dietro cui Walter Mazzarri si trincerava a Napoli, quando sentiva farsi insistente l'assedio della critica. Allora via a snocciolare numeri per dimostrare la crescita esponenziale della squadra durante la sua gestione. E' un giochetto che però non potrà ripetere a Milano, almeno non a breve termine, malgrado il rapporto con media e dintorni sia sempre conflittuale. Prima il tecnico dell'Inter dovrà raddrizzare una classifica che oggi langue ancorata a un decimo posto e che pare ancora più deludente se confrontata con la passata stagione: sei punti in meno e in sole sei giornate. La Juventus è lassù a quota 18, l'Inter inchiodata a 8 e, soprattutto, immersa in una confusione in cui appare complicato individuare una via di uscita, visto che la direzione appare tutt'altro che chiara, a cominciare da chi dovrebbe indicare una soluzione.

 

Certo, i fatti non hanno aiutato. Mazzarri si era presentato ad Appiano Gentile convinto di avere Massimo Moratti come presidente, si è ritrovato pochi giorni dopo a dover rispondere a Erick Thohir. Un cambio epocale, da un'impresa familiare a una (presunta) società di caratura internazionale. Le circostanze hanno dimostrato che non basta ribattezzare ceo l'amministratore delegato oppure chiamare board il consiglio. Necessita piuttosto una chiara visione di insieme che il capitalismo compassionevole dei Moratti ancora possedeva, forti di una conoscenza delle dinamiche italiane che l'attuale proprietà dimostra di non avere. Mazzarri, a fronte di tale rivoluzione, ha pensato di rispondere con il suo metodo di lavoro. Un metodo che ha tamponato le falle nella prima stagione, salutata come quella della svolta dopo le sofferenze nelle annate precedenti, ma che mostra i propri limiti in quella attuale, complici un ricambio maldestro nella squadra (fronte società) e un'atavica difficoltà nel gestire le situazioni negative (fronte tecnico).

 

[**Video_box_2**]Perché salutati in estate – primo aspetto - anche gli ultimi superstiti del Triplete, quelli che (volenti o nolenti) rappresentavano ancora un modo di essere nerazzurro, i loro successori si stanno dimostrando tremendamente limitati, esito di una campagna acquisti simile a quella dei vicini di casa rossoneri: contenimento dei costi, investimenti ridotti al minimo sindacale, ricerca dell'occasione a fine contratto oppure in prestito. Se ti va bene, è possibile l'affarone. Ma se ti va male, come raccontava Jack O'Malley nella versione cartacea, ti trovi in casa uno che viene per giocare in pantofole. L'attuale Nemanja Vidic ne è l'esempio sommo. E perché – secondo aspetto – Mazzarri ha sempre avuto bisogno di un capro espiatorio per giustificare i propri errori, in una malcelata abitudine di privatizzare i successi e collettivizzare le sconfitte. Poteva capitare con i giocatori, in passato. Accade con i giornalisti cattivoni oggi, quelli colpevoli – parole sue – di sostenere "cose preordinate senza un senso, che mi fanno reagire". Forse sarebbe stato meglio se avessero fatto reagire l'Inter, presa a schiaffi dal Cagliari in casa e nuovamente sculacciata dalla Fiorentina, in una serata di assoluta impotenza tattica e tecnica. E, in mezzo, la vittoria faticata contro gli azeri (azeri!) del Qarabag, definiti dal tecnico come la rivale che aveva rischiato di vincere contro il St. Etienne, forse ancora convinto di parlare della squadra in cui giocava (e vinceva) Michel Platini. Eppure Mazzarri, prima di Firenze, aveva tentato la chiamata alle armi, lucidando il vocabolario guerrafondaio che tanto piace in simili frangenti. Lo fece anche José Mourinho che, però, aveva raccontato di "fantastico rumore dei nemici". Tutt'altra cosa rispetto al "fortino" in cui Mazzarri aveva invitato l'Inter a ricompattarsi. Parole che riflettono un modo di pensare: aggressivo il primo, di contenimento il secondo. Con i risultati sotto gli occhi di tutti.

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