Gli scontri a Hong Kong (foto Ap)

La rivoluzione degli ombrelli

A Hong Kong la finanza e la burocrazia comunista preparano manganellate

Redazione

Dopo gli scontri, le proteste nelle strade sono ordinate e Pechino per ora guarda, ma non durerà a lungo così.

Roma. Anche sotto ai lacrimogeni, anche quando i ragazzi bloccano le strade e mostrano cartelli che inneggiano alla disobbedienza civile, la rivoluzione nello stile di Hong Kong è un’operazione ordinata. Dalla scorsa settimana il quartiere degli affari dell’ex colonia è paralizzato da un’occupazione di manifestanti che chiedono al governo centrale misure in favore della democrazia. Hanno iniziato gli studenti delle università e delle scuole superiori con un lungo boicottaggio delle lezioni, poi domenica, in anticipo sugli annunci, si è aggiunto il gruppo antagonista Occupy Central, che si rifà a Occupy Wall Street, e la polizia ha attaccato con proiettili di gomma, spray urticante e gas lacrimogeni i cittadini che avevano solo ombrelli e occhialini da piscina per difendersi. I feriti sono stati decine, 89 gli arresti. Ieri però la polizia ha iniziato a ritirarsi e i manifestanti hanno ricominciato la loro protesta ordinata.

 

Il servizio di pulizia ha rassettato le strade, i leader della protesta hanno organizzato dei corridoi in mezzo al sit-in per i passanti, i volontari hanno distribuito banane e i bambini – anche loro hanno partecipato – hanno fatto i loro compiti sull’asfalto. Alcuni, però, hanno innalzato barricate come quest’autunno a Kiev: la polizia, lo sanno tutti, ritornerà. I sit-in si sono estesi da Central, il quartiere finanziario, alle zone vicine di Admiralty, Causeway Bay e Mong Kok. Alle manifestazioni di ieri non c’erano gli ombrelli che i manifestanti hanno usato per proteggersi dagli spray e che i media hanno adottato come simbolo della protesta. Che la “rivoluzione degli ombrelli” abbia già un nome rappresentativo è un fatto importante, perché la ricollega alle rivoluzioni colorate di mezzo mondo e alla “rivoluzione gelsomino” che nel 2011 gettò nel panico il governo di Pechino. La violenza degli scontri di domenica, rientrati ieri, è da collegare anche a questo: quando sente aria di “rivoluzione colorata” Pechino colpisce duro, e solo l’eccezionalità di Hong Kong, dove vige libertà di espressione e i cui media sono relativamente liberi, ha evitato che la repressione continuasse.

 

[**Video_box_2**]Le accuse contro Stati Uniti e Inghilterra - In un certo senso, è proprio l’eccezionalità dell’ex colonia che i manifestanti vogliono difendere. La loro prima richiesta è il ritiro di un piano elettorale proposto dal governo di Pechino che concede ai cittadini di Hong Kong il suffragio universale (come promesso da anni), ma dà a una commissione manovrata dalla Cina il potere di scegliere i candidati. La maggioranza dei cittadini è favorevole al suffragio universale, ma la piazza, da qualche giorno, ha iniziato ad avanzare altre richieste, che spaventano la borghesia e gli imprenditori. I manifestanti chiedono le dimissioni di Leung Chun-ying, il capo dell’esecutivo di Hong Kong, uomo di Pechino, e in molti parlano di ripianare le diseguaglianze, riparare il capitalismo sregolato della grande piazza finanziaria, smuovere lo status quo. Il movimento Occupy Central è iniziato nel 2011 con l’occupazione di un edificio della banca Hsbc, e la sua discesa in campo ha venato le proteste di uno spirito anticapitalista che molti studenti condividono. Il fatto è che il modello di Hong Kong, incalzato dalla Cina, è in affanno, e i giovani se ne sentono tagliati fuori. Hanno perso le opportunità dei loro genitori e sanno che Pechino ha in mente per loro un futuro in cui Hong Kong non sarà più una città eccezionale. E’ un problema sentito anche dall’élite economica. Quando i banchieri e gli imprenditori vedono la statistica (riportata dal sito Vox) secondo cui nel 1997 Hong Kong valeva oltre il 18 per cento del pil della Cina e ora vale solo il 3 per cento, e quando vedono il governo di Pechino puntare sui mercati di Shanghai e di Shenzhen e snobbare Hong Kong, provano la stessa sensazione di disagio degli studenti, ma la loro risposta è opposta: le proteste devono finire, renderanno solo più veloce la nostra caduta, dicono. I mercati (che ieri erano in calo in tutto il mondo) non si fideranno più di noi, Pechino ci boicotterà. Ormai buona parte della ricchezza di Hong Kong dipende dal gigantesco mercato cinese, e le migliori opportunità le ha chi riesce a farsi i contatti giusti con la terraferma. Così a Hong Kong, davanti alle proteste, si è creata un’alleanza di fatto tra gli esponenti del capitalismo finanziario della città e la burocrazia della Cina comunista.

 

In Cina tutte le notizie sulle proteste sono censurate. Ieri alcuni tg parlavano delle folle in strada a Hong Kong, ma solo per segnalare la partecipazione alla festa nazionale cinese – che inizia mercoledì, e porterà nuove manifestazioni. Il sito del Quotidiano del popolo, il giornale del Partito, ha accusato “forze anti cinesi” in Inghilterra e negli Stati Uniti di fomentare le manifestazioni. Quando i regimi chiedono al mondo di non interferire di solito è perché sentono che è il momento di reagire.

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