Benny Tai (al centro) durante le manifestazioni a Hong Kong (foto AP)

Il giorno dell'ultimatum

Lai e Tai sono gli alleati più strani (e significativi) della piazza di Hong Kong

Antonio Talia

Uno è il tycoon à la Murdoch, l’altro il prof. teorico della nonviolenza. E hanno un piano per gli studenti.

Hong Kong. Da Causeaway Bay ad Admiralty, da Central a Tsim Sha Tsui, tutta Hong Kong vibra di emozioni adolescenti. Gli studenti delle superiori si prendono per mano, scattano foto e illuminano la notte con le luci degli smartphone, cantano le canzoni dei Beyond, la più famosa band di pop cantonese, e poi tornano a intonare gli slogan: “Leung, dimettiti!”. Ieri, primo ottobre, festa nazionale, sessantacinquesimo anniversario della nascita della Repubblica popolare cinese, erano migliaia e migliaia nelle strade, più dei giorni precedenti, mentre la polizia osservava da lontano i ragazzini che fanno la raccolta differenziata per ripulire ogni traccia dell’occupazione, e un momento dopo sono pronti a rispondere a muso duro al governo. Occupy Hong Kong, questa scatola misteriosa che sta sfidando il Partito comunista cinese, non è solo un malloppo ingenuo di solidarietà e buoni sentimenti. Il movimento ha molte facce, che vanno dalle rivendicazioni sindacali alla fede militante di cattolici e protestanti, dalle vecchie generazioni di attivisti fino agli studenti delle medie. Il ragazzino del liceo sceso in piazza a manifestare dirà che è qui perché vuole “libertà e democrazia”, ma agli spettri opposti di questa galassia ci sono Benny Tai e Jimmy Lai, due uomini che non potrebbero essere più diversi.

 

“Il Partito comunista cinese? Un monopolio che applica un ricarico eccessivo, e in cambio fornisce un servizio di scarsa qualità”: la definizione è di Jimmy Lai, il tycoon dei tabloid di Hong Kong, il miliardario con la quinta elementare che nella hall della sua corporation espone i busti di Milton Friedman e Friedrich Hayek. La corazzata del suo impero mediatico, l’Apple Daily, è un quotidiano aggressivo, scandalistico, che spara in prima pagina la paparazzata sull’ultimo flirt dello star-system hongkonghese a fianco all’inchiesta sui torbidi legami tra i miliardari rivali e il sistema politico di Pechino. Gli altri paperoni di Hong Kong detestano questo ex operaio con la faccia da bulldog, ma lui, il Murdoch di Hong Kong, nell’ex colonia britannica è già riuscito a far cadere un governo.

 

Nel 2003, al culmine delle proteste contro le leggi per aumentare i poteri della polizia volute dall’allora governatore Tung Chee-hwa, l’Apple Daily pubblicò in copertina il volto del leader preso a torte in faccia, e invitò i lettori a marciare per le strade con una copia del quotidiano. Il governatore infine si dimise. Negli anni della sua crociata anti Pechino, iniziata dopo il massacro di Piazza Tiananmen, lo squalo di Hong Kong ne ha affrontate tante, dal boicottaggio della pubblicità sui suoi quotidiani (che però continuano a vendere alla grande, anche a Taiwan) alle accuse di corruzione e di collaborazione con la Cia, fino all’attacco a colpi di molotov contro la sua villa. “Non ci aspettavamo un movimento del genere – ha detto in un’intervista di qualche giorno fa a Channel News Asia – ma dobbiamo sostenere questi ragazzi. Se Pechino non accetta le richieste, dovrà vedersela con loro per i prossimi 30 anni”.

 

E mentre Jimmy Lai ogni tanto si affaccia sui luoghi di Occupy Hong Kong a mangiare qualcosa con gli studenti, qualche ora dopo passa di lì Benny Tai, il professore, l’attivista, un’altra delle anime del movimento. Il 28 settembre scorso è stato lui a suonare le trombe che hanno portato in piazza la prima ondata di studenti: “Ho un messaggio che aspettavamo da molto tempo: Occupy Central inizia adesso”. Benny Tai ha 50 anni, ed è il padre di Occupy, lo stratega che sta ispirando tutte le forme di resistenza passiva nonviolenta, nonostante le minacce anonime di morte che riceve ogni giorno. Per i suoi nemici, è un cattivo maestro, un radicale sovversivo, ma nei suoi scritti il professore punta a dimostrare che la disobbedienza civile non viola le leggi di Hong Kong, anzi, in qualche modo ne incarna lo spirito. In un sistema bipolare, Lai e Tai sarebbero l’uno a capo dello schieramento conservatore e l’altro del fronte progressista. Ma a Hong Kong la situazione non ha nulla di ordinario, e la lotta per il suffragio universale e contro le ingerenze di Pechino sta provocando strane alleanze.

 

[**Video_box_2**]Nel pomeriggio di ieri alcuni funzionari del governo hanno offerto di aprire un dialogo con i manifestanti. Agnes Chow, 17 anni, uno dei leader del gruppo studentesco Scholarism, ha invece lanciato l’ultimatum: se entro la mezzanotte di oggi il capo dell’esecutivo Leung Chun-ying non si dimetterà, occuperemo edifici governativi. I manifestanti alzano il tiro, oppure vogliono tenere vivo il movimento con azioni mirate e nello stesso tempo liberare le strade paralizzate da migliaia di persone.

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