F-18 americani in operazione nell'Iraq settentrionale (foto AP)

Missioni fuori bersaglio

Dove sta bombardando Obama, nella sua guerra aerea contro Baghdadi?

Daniele Raineri

La campagna con i jet e gli alleati arabi fa rivoltare i ribelli siriani, trascura i curdi e non protegge i soldati iracheni.

Roma. La coalizione guidata dall’America è arrivata al quarto giorno di attacchi aerei contro lo Stato islamico in Siria, ha colpito gli obiettivi più rappresentativi – come le corti shariatiche e i campi d’addestramento – e ha distrutto dodici piccole raffinerie di petrolio che contribuivano a rendere autonomo (anzi, ricco) il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi. Il Pentagono sostiene che sta causando un danneggiamento soltanto parziale delle raffinerie, in modo che possano essere rimesse in funzione da chi verrà dopo lo Stato islamico. La scelta dei bersagli colpiti sta però aprendo problemi su fronti diversi e con gruppi che in teoria saranno alleati nella guerra a tempo indeterminato contro lo Stato islamico e questi problemi nei prossimi giorni potrebbero aggravarsi.

 

I curdi che stanno offrendo una resistenza disperata all’assedio dello Stato islamico nella città di Kobane (vedi articolo qui) si sentono abbandonati dall’Amministrazione americana proprio nell’ora più importante per la loro sopravvivenza in Siria. Il loro portavoce Redur Xelil scrive in un appello che i nemici hanno ammassato rinforzi per due settimane attorno alla città, facendoli arrivare dall’Iraq e dalla Siria, e dispongono di equipaggiamento pesante che stanno usando “per questo assalto, uno dei più brutali”. I curdi, continua Xelil, resistono con armi leggere, ma perché nessuno sta bombardando le basi dello Stato islamico davanti alla città? E perché nessuno ferma i carri armati dei jihadisti che stanno avanzando su Kobane? “Sono all’aria aperta e sono visibili a tutti, ma non sono colpiti”. L’intesa tra i militari curdi a terra e i jet americani che in Iraq ha funzionato nella zona di Erbil e alla diga di Mosul, in Siria non scatta. “Se l’America e i suoi alleati sono intenzionati sul serio a fare la guerra contro l’Isil sul fronte di Kobane e nelle aree attorno a Kobane allora noi vogliamo cooperare con l’America e i suoi alleati, e possiamo dargli le coordinate e rivelare informazioni molto importanti sull’Isil e indicare i loro movimenti”. Il portavoce militare curdo scrive ìche finora gli americani hanno soltanto colpito palazzi vuoti.

 

Con i gruppi ribelli della rivoluzione siriana c’è un problema diverso, che potrebbe trascinarsi a lungo: nel loro caso la questione non è che “l’America non sta bombardando”, ma “chi sta bombardando?”. L’Amministrazione Obama ha scelto di approfittare dell’ondata di attacchi sulla Siria per colpire anche un’altra fazione, che con lo Stato islamico non c’entra nulla, anzi ne è nemico (pur appartenendo alla stessa famiglia jihadista). Si tratta del cosiddetto “gruppo Khorasan”, che è il nome che l’intelligence americana ha dato a “due dozzine” di membri di al Qaida che nel 2012 sono arrivati in Siria dall’Iran e dall’Afghanistan e si sono sistemati nelle basi del gruppo Jabhat al Nusra (che tecnicamente rappresenta al Qaida in Siria).

 

Questi uomini di al Qaida sono responsabili dell’allarme che a inizio luglio ha costretto il personale degli aeroporti americani ad aggiungere un divieto ulteriore per i passeggeri: niente aggeggi elettronici spenti e scarichi, perché il “gruppo Khorasan” avrebbe testato delle bombe camuffate da telefono o iPad che riescono a passare i controlli. Nella notte tra lunedì e martedì i primi missili Tomahawk sono caduti su otto diverse case siriane che ospitavano le due dozzine di uomini del Khorasan assieme a combattenti di Jabhat al Nusra, tutte lontane anche centinaia di chilometri dai confini dello Stato islamico. Ci sono stati anche undici civili morti, anche se questo numero non può essere confermato perché non ci sono testimoni indipendenti nella zona.
Da martedì tutti i gruppi della rivoluzione siriana stanno condannando uno dopo l’altro i bombardamenti americani, per non parlare dei semplici siriani – “Fuck America, I hate them”, dice al telefono una fonte locale al Foglio. Il movimento Hezm, che sta ricevendo armi americane, condanna Washington e dice che sta aiutando il regime del presidente Bashar el Assad. Il gruppo di Jamal Marouf, il Jaish al Mujaheddin e il Nuraddin az Zinki seguono a ruota: tutti condannano l’America e si schierano dalla parte di Jabhat al Nusra – considerato un gruppo con idee estremiste ma solido nella guerra contro Damasco.
Ieri un articolo del New York Times ha spiegato che la minaccia di un attentato in occidente non era così “imminente” (come invece detto martedì), ma era forse soltanto ferma a uno stadio “aspirational”: c’erano l’idea e la volontà. Se Washington ha usato questa etichetta “Khorasan” per non creare risentimento tra i ribelli siriani a causa di bombardamenti che sono a tutti gli effetti mirati contro Jabhat al Nusra, allora non ci sta riuscendo. Potrebbe aver barattato la chance di colpire venti ricercati pericolosi di al Qaida con una spaccatura politica sul campo e ora potrebbe  perdere la neutralità di gruppi che dominano l’opposizione armata al clan di Damasco (che intanto ringrazia: “Gli strike vanno nella giusta direzione”, ha detto mercoledì un ministro di Assad alla Reuters).

 

[**Video_box_2**]In Iraq la campagna aerea di Stati Uniti e Francia sta trascurando l’esercito iracheno e dopo otto settimane di raid sparsi ancora non riesce a impedire assalti in massa dello Stato islamico e sconfitte che non appaiono sui media ma sono lo stesso disastrose.

 

Domenica il gruppo del Califfato ha espugnato Camp Saqlawiyah, vicino Falluja, catturando o uccidendo centinaia di militari iracheni (il numero varia tra 400 e 500, nessuno sa per ora la cifra reale). Dopo una settimana di assedio, i soldati all’interno della base avevano aperto i cancelli a quello che credevano fosse un convoglio delle forze speciali mandato da Baghdad ad aiutarli: ma era un inganno della guerriglia, che aveva appena bloccato ed eliminato il vero convoglio dei rinforzi su un ponte stradale non molto distante e lo aveva rimpiazzato con un finto convoglio di autobomba. Tre sono saltate in aria dentro, le altre vicino al perimetro, i difensori hanno abbandonato le loro posizioni in preda al panico e hanno cercato di raggiungere una base vicina, ma soltanto la metà di loro ce l’ha fatta.

 

Il prossimo angolo trascurato di questa campagna aerea che per ora non risolve i problemi al suolo potrebbe essere un’altra base dell’esercito iracheno, che in questo momento è assediata dai guerriglieri di Baghdadi vicino Ramadi, quindi nella stessa area di quella appena caduta.

 

 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)