Il presidente siriano Bashar el Assad (foto AP)

Assad ha piazzato una trappola per Obama, ma è tanto goffo

Paola Peduzzi

Damasco dice di essere stata avvertita dell’attacco americano, i russi si lamentano perché invece Washington non ha preallertato il regime siriano. La strategia militare americana mostra che non c’è collaborazione con la Siria, ma Assad è da tre anni che raggira l’occidente con la scusa del jihad.

Milano. Il commander in chief, Barack Obama, ha scelto la settimana dell’Assemblea generale dell’Onu a New York – cioè la settimana più mondana dell’anno al Palazzo di vetro, in cui le agende sono tutte fittissime, incontri e discorsi e strette di mano destinate a restare nella storia (per ora quella più chiacchierata è tra il premier britannico David Cameron e il presidente iraniano Hassan Rohani) – per mostrare la faccia del leader allargando i bombardamenti contro lo Stato islamico dall’Iraq alla Siria. L’attacco era già stato annunciato e nonostante i partner occidentali si siano sfilati – Londra deve forse aspettare un voto al Parlamento, Parigi ha annunciato che in Siria non farà attacchi – Obama ha iniziato la fase due della guerra, quella che avrebbe sempre voluto evitare e che poi si è resa necessaria: colpire la Siria. E lo ha fatto mentre tutti i leader del mondo possono guardarlo bene, oggi mentre parla all’Assemblea e poi quando presiederà, per la prima volta dal 2009, il Consiglio di sicurezza dell’Onu: la photo opportunity ha grande senso ora, l’opinione pubblica chiede all’America di distruggere la minaccia dello Stato islamico, e Obama l’ha accontentata, arrivando a colpire fino ai santuari neri di Raqqa, in Siria.
C’è un uomo però che a New York non è andato, non può muoversi dal suo palazzo e comunque non è ospite gradito. E’ Bashar el Assad, dittatore della Siria, che da tempo vede la grande offensiva internazionale contro lo Stato islamico come la più grande chance di rimanere dov’è (sempre ammesso che qualcuno abbia mai davvero desiderato farlo sloggiare, a parte i reiterati e inutili “se ne deve andare”). Soltanto che Assad deve trovare il modo di accodarsi alla missione, di poter dire che anche lui combatte contro il terrorismo del Califfo, partner di una coalizione regionale che lo coinvolge da molto vicino. Così ha pensato bene ieri di dire che i bombardamenti a Raqqa e poi ancora più in là, vicino ad Aleppo, non sono stati affatto una sorpresa, lui era stato avvertito dagli americani. Washington ha smentito, non c’è stato alcun avvertimento e a giudicare dalla strategia militare adottata – sono stati usati F-22 raptors per eludere la difesa siriana, così come hanno dovuto fare nel mese scorso i voli di ricognizione – è facile pensare che gli americani dicano il vero. Ma se qualche dubbio ancora c’era, sono arrivati i russi a fugarlo: il Cremlino è molto infastidito dal fatto che gli Stati Uniti abbiano deciso un’operazione in Siria senza avvertire il legittimo presidente Assad. Per Mosca si tratta di una dichiarazione di routine, essendo il principale sponsor della tenuta del regime di Damasco, ma l’eccesso di protezione, si sa, ottiene spesso risultati non voluti. Così Assad, che cercava di partecipare alla festa della lotta contro lo Stato islamico, ha perso un’altra occasione.
Aspetterà la prossima, è certo che arriverà. E’ da tre anni che la repressione assadista, feroce e indefessa, continua grazie al grande piano che russi e iraniani hanno costruito apposta per il loro protetto di Damasco: Assad non è parte di una guerra civile, Assad combatte una guerra al terrore. Tutti paiono essersi dimenticati che la rivolta contro Assad nasceva spontaneamente, sull’onda delle vituperate primavere arabe, da un popolo oppresso che chiedeva diritti, pane, lavoro. Non c’era il terrorismo in Siria, non c’era al Qaida, non era nemmeno immaginabile che un Califfo sarebbe riuscito a conquistare un territorio più grande della Gran Bretagna a suon di stragi e uccisioni e pulizie religiose: c’era un dittatore violento che sopravviveva grazie al sostegno degli amici iraniani e grazie ai metodi classici di repressione dei regimi. Dopo che per circa un anno l’occidente ha ignorato la crisi, i jihadisti sono arrivati, in massa, con tutte le loro nuove forme di leadership e di combattimento, e così l’intervento in Siria contro Assad è diventato ancor più “complicato”.

Il jet abbattuto da Israele
Leon Panetta, ex capo del Pentagono obamiano, ha detto due giorni fa che se si fossero armati i ribelli, la terza guerra d’Iraq e Siria non sarebbe stata necessaria. E’ soltanto l’ultimo di una lunga serie di politici e commentatori che ripetono queste parole, ma i realisti rispondono che, da un certo punto in poi, i ribelli non sono più stati interlocutori affidabili, a causa delle infiltrazioni jihadiste. Assad ha approfittato di questo tempo non soltanto per far strage del suo popolo – i suoi bombardamenti non sono mai finiti, non quando è stato richiesto dall’Onu, non quando è stato richiesto dal patto tra russi e americani per far uscire dalla Siria le armi chimiche, non quando sono stati aperti piccoli corridoi umanitari per aiutare le cittadine assediate – ma anche per costruire una trappola. Lo Stato islamico cresceva e avanzava, portava al collasso il già pericolante Iraq, massacrava cristiani, e l’occasione di Assad per rivendersi agli occhi del mondo come sostenitore della guerra al terrorismo diventava sempre più concreta. Dev’essere stato crudelmente ironico per i ribelli siriani vedere i bombardamenti di ieri in Siria contro lo Stato islamico, a poco più di un anno da quelli annunciati contro Assad e mai fatti.
Al momento Assad non ha molto per stare tranquillo. La coalizione di partner regionali che Obama è riuscito a creare è tremendamente ostile nei suoi confronti, e l’indebolimento del gruppo di al Baghdadi in alcune zone potrebbe – dovrebbe – rafforzare i ribelli. I quali ripetono che l’assistenza che arriva dall’esterno, finalmente, sarà utilizzata nella lotta contro il regime di Damasco. Per ora Assad sa che se non muove il suo sistema di difesa contro gli americani e i loro alleati, continua a sopravvivere. Obama è sollevato dal fatto di non dover ingaggiare una guerra contro le forze del regime siriano, perché rischierebbe di colpire anche chi quelle forze le sostiene e le addestra, cioè i russi. Ma se la campagna dura a lungo? Assad spera che Obama cada nella sua trappola: per mettere le mani avanti, Israele ha abbattuto ieri mattina un jet da combattimento siriano – è la prima volta dal 1989.
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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi