Un poster propagandistico di Bashar el Assad, davanti all'ospedale di Damasco (Foto AP)

America, occhio a non cascare nell'imboscata tesa da Assad

Frederic Hof

Bashar segue una strategia molto semplice: spacciarsi per il pompiere che aiuta a estinguere il rogo che lui stesso ha appiccato. Per questo è necessario, durante le operazioni per colpire lo Stato islamico, essere duri contro di lui, che merita la rimozione più dell’iracheno Al Maliki.

Pubblichiamo ampi stralci di un articolo apparso il 26 agosto sul sito della New Republic e intitolato “Bashar el Assad sta preparando una trappola mortale per Obama in Siria”

 

La decisione del presidente Barack Obama di autorizzare operazioni di sorveglianza aerea delle posizioni dello Stato islamico in Siria lascia pensare che raid con aerei da guerra e droni non siano tanto lontani. Tutto questo è giusto, ma c’è un pericolo in agguato. Il capo della più grande famiglia criminale della Siria, il presidente Bashar el Assad, aspetta, come un coccodrillo, che il pescatore americano cada fuori dalla barca. Per Assad l’occasione è notevole. Se giocherà bene le sue carte, grazie all’assist dell’inazione americana, potrà tornare nella società civile mentre altri fanno il lavoro sporco contro lo Stato islamico al posto suo.

 

Dall’inizio della rivolta popolare siriana del 2011 contro un regime corrotto, incompetente, cinico e brutale, Assad ha seguìto con stolida decisione una strategia molto semplice: spacciarsi per il pompiere che aiuta a estinguere l’incendio che lui stesso ha creato. Determinato a creare un’opposizione alternativa che sopraffacesse le proteste pacifiche, Assad ha svuotato le sue prigioni dai detenuti violenti e islamisti e ha usato tattiche settarie e violente per riportare in Siria il gruppo di al Qaida in Iraq (Aqi) che il suo regime un tempo aveva cacciato da Damasco a Baghdad. Mentre al Qaida in Siria si evolveva nello Stato islamico e in Jabhat al Nusra, e combattenti stranieri riempivano i loro ranghi, il messaggio di Assad, amplificato da Iran e Russia, è rimasto lo stesso: “Sono l’unico baluardo contro il terrorismo. Presto o tardi l’occidente dovrà tornare a implorare la mia amicizia”. Assad, i suoi scagnozzi e i suoi apologeti credono che l’ora della riscossa sia vicina. Walid al Mouallem, ministro degli Esteri del governo che è asservito agli ordini del clan regnante, ha messo in guardia Washington dal violare la sovranità della Siria e al tempo stesso ha offerto coordinazione e collaborazione contro lo Stato islamico. L’Amministrazione Obama ha risposto bene alla proposta, con un rifiuto sdegnato. Tuttavia, il pericolo rimane nascosto nelle acque dell’intrigo politico siriano.

 

Per Bashar el Assad lo scenario ideale è quello in cui lo Stato islamico lo aiuta a distruggere l’opposizione nazionalista armata nella Siria occidentale, l’aviazione americana colpisce lo Stato islamico nella Siria orientale e lui siede comodamente a Damasco, sentendosi ancora una volta necessario per l’occidente come un partner utile contro gente evidentemente più cattiva di lui. E un’ulteriore ricompensa lo attende: il fatto compiuto o la percezione di una collaborazione tra Washington e Damasco creerà spaccature tra gli Stati Uniti e ognuno dei loro partner regionali, e questo farà gioco agli interessi dell’alleato che Assad ha servito fedelmente finora: l’Iran.

 

Assad ha ogni ragione per credere che la sua strategia porterà frutti. Ora, mentre le sue forze armate si occupano di bombardare, colpire e assediare fino alla fame la popolazione civile, i combattenti dello Stato islamico nella Siria occidentale lavorano diligentemente per eliminare la sua opposizione armata. Assad si aspetta parole dure da Washington, ma lui dirà ai suoi alleati e agli avversari di non dare peso alle parole di chi gli ha intimato di dimettersi, lo ha messo in guardia su linee rosse, lo ha minacciato di strike aerei, ha promesso ai suoi oppositori un aiuto che non è mai arrivato nelle quantità e nelle forme necessarie. Se tutto quello che l’Amministrazione ha da offrire è più retorica, sta cadendo in una trappola geopolitica. Anche se Washington – magari insieme ad altri partner – compie operazioni contro lo Stato islamico senza nessun riferimento al regime di Assad, tutti in Siria o nella regione crederanno ad Assad quando dirà che c’è un accordo. Sbandiererà coordinamento e collaborazione anche se non ci sono. Pubblicizzerà le visite di personaggi importanti dall’Europa e dall’America, anche se non hanno alcuna autorità. Gli crederanno, se le parole sono tutto quello che Washington può offrire.

 

Come evitare la trappola? Dimostrare vera ostilità contro Assad, la cui rimozione in nome della distruzione dello Stato islamico è ancora più giustificata dell’uscita di Nouri al Maliki dal governo iracheno. Durante le operazioni aeree americane contro lo Stato islamico in Siria, se i radar della difesa aerea del regime puntano un aereo americano, la base di difesa aerea deve essere colpita con decisione. Aiuti forti e tempestivi per i ribelli nazionalisti siriani per combattere sia lo Stato islamico sia il regime sono necessari. Dare assistenza alla Coalizione nazionale siriana che cerca di mettere in piedi una struttura governativa che non sia né di Assad né dello Stato islamico è essenziale. Costruire una forza di stabilizzazione pan-siriana in Turchia e in Giordania per favorire le operazioni di pace contro il regime e contro lo Stato islamico è vitale. La leadership americana deve creare meccanismi che permettano un giorno di processare Bashar el Assad e i suoi principali sostenitori per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Questi sono i passi necessari per smascherare le menzogne di Assad.

 

Le parole da sole non saranno abbastanza. Assad e i suoi alleati finora hanno pasteggiato sulla retorica dell’Amministrazione. Pensare che gestire il problema dello Stato islamico in Siria e la percezione che aleggia di una collaborazione con Assad sia un esercizio di routine di comunicazione strategica è come danzare, spensierati, dentro a una trappola mortale. E’ una trappola che è meglio evitare.

 

Frederic Hof è senior fellow al Centro per il medio oriente Rafik Hariri dell’Atlantic Council. Tra il 2009 e il 2012 è stato consigliere sulla Siria per il dipartimento di stato.