Un soldato della Delta Force americana (Foto Ap)

Operazione Quattro Luglio in Siria

L’incursione fallita della Delta Force per tirare fuori James Foley dal “campo Bin Laden” fa sembrare il raid di Abbottabad un’esercitazione. Anatomia di un raid oltreconfine. Mancò l’intelligence, non il valore.

New York. L’operazione con cui l’America ha tentato invano di salvare il giornalista James Foley e altri prigionieri americani dai carcerieri dello Stato islamico non è stato un disastro tattico e militare. E’ stato un fallimento d’intelligence. Lisa Monaco, il capo dei consiglieri sul terrorismo di Obama, ha detto che il governo “aveva quelle che credevamo essere informazioni sufficienti”, ma quando il commando di venticinque uomini della Delta Force è arrivato nella base dello Stato islamico indicata dall’intelligence, i prigionieri americani non c’erano. I militari sono finiti sotto il fuoco dei terroristi ma nel giro di pochi minuti sono riusciti a rientrare sugli elicotteri e a ripartire verso la base turca da cui è partita la missione. Un soldato è rimasto leggermente ferito quando i velivoli americani sono finiti sotto il tiro dei guerriglieri. Che una missione con un coefficiente di rischio del genere possa fallire non è strano. Per ogni operazione incoronata da titoli e parate ci sono decine di fallimenti e la storia, dal raid di Son Tay, in Vietnam, alla Somalia di “Black Hawk Down” fino alla disastrosa incursione per liberare gli ostaggi a Teheran è lì a testimoniarlo. Questa circostanza però è complicata da un dibattito interno agli apparati d’intelligence che si è infiammato da quando Barack Obama ha spostato la guerra al terrorismo dalla terra polverosa al cielo dei droni. Il paradigma della guerra obamiana prevede un misto di bombardamenti a basso rischio e la riduzione della presenza sul territorio, quella che raccoglie “human intelligence”. La Cia in questi anni si è dedicata più alla gestione di programmi paramilitari che al dispiegamento di agenti sul campo in grado di reclutare, raccogliere minuziosamente informazioni, creare quei network complessi che permettono, ad esempio, di localizzare  gli spostamenti di un prigioniero. “Nessuno vuole raccogliere questo tipo di informazioni. Quando lo fai è considerato un compito minore, poco importante. Invece raccogliamo un sacco di materiale che sembra sexy ma non serve a nulla”, ha detto un ex soldato della Delta Force al giornalista Jeff Stein, sintetizzando il dibattito che fa da sfondo all’operazione fallita.

 

Il consiglio della sicurezza nazionale ha detto che “non avrebbe voluto rivelare l’operazione”, ma è stato costretto a farlo quando ha scoperto che alcuni giornali si stavano preparando a raccontare la storia. La Casa Bianca ha però anche un altro motivo per rendere pubblico il tentativo di salvare il reporter che è stato poi decapitato: mostrare che ha fatto tutto quello che era in suo potere. Contrariamente a molti governi europei, l’America non tratta con i terroristi e non paga riscatti. Secondo fonti della famiglia Foley sentite dal New York Times, lo Stato islamico ha chiesto cento milioni di dollari per il rilascio di Foley. L’America ha rifiutato il negoziato, ma ha messo in piedi un’ardita operazione di salvataggio. Il commando ha fatto irruzione in una raffineria petrolifera della Siria trasformata in una base. Non è difficile riconoscere nella descrizione l’impianto di al Akershi, una ventina di chilometri a est di Raqqa, la roccaforte del Califfato. Un report di Amnesty International basato su interviste a prigionieri che sono transitati per al Akershi descrive la base – nota come “campo Bin Laden” – come un enorme campo di addestramento dove continuamente si sentono “spari degli addestramenti” e “canti di centinaia di persone che s’inginocchiano per la preghiera”. Il campo Bin Laden non è un avamposto qualunque del Califfato, ma un centro di reclutamento vitale con centinaia di miliziani armati, incastonato in una struttura intricata, con aree isolate dove vengono tenuti i prigionieri. Un’incursione in una base del genere per prelevare prigionieri vivi fa sembrare il raid che ha ucciso Osama bin Laden un’esercitazione.

 

I network dei ribelli siriani dicono che gli aerei e i droni americani hanno bombardato l’artiglieria attorno alla base per aprire una via agli uomini delle forze speciali. I mezzi americani hanno invaso lo spazio aereo siriano difeso da un sistema antiaereo che il Pentagono ha definito “altamente pericoloso”. Ai rischi per le forze speciali si aggiungeva quindi il rischio politico di entrare in conflitto con il regime di Bashar el Assad, cosa che Obama ha fin qui evitato in tutti i modi. La Casa Bianca dice genericamente che il raid è avvenuto “quest’estate”, ma sovrapponendo una notizia fasulla diffusa dalla propaganda del regime siriano all’inizio di luglio si può arrivare alla data esatta. Un comunicato ufficioso riconducibile al regime spiega che le forze speciali siriane hanno fatto un’incursione con gli elicotteri in una base dello Stato islamico vicino a Raqqa, uccidendo 300 miliziani, fra cui almeno quattro comandanti di alto livello. Un militare è stato leggermente ferito. In realtà si trattava degli uomini della Delta Force, e il regime si è appropriato della vicenda, distorcendola a suo favore. Era la notte fra il 3 e il 4 luglio. Obama avrebbe voluto portare a casa Foley e gli altri nel giorno dell’indipendenza americana.