Pier Carlo Padoan e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il pil spaventa più l'Europa che Renzi

Marco Valerio Lo Prete

Crescita ancora giù a metà anno. L’eccezione italiana inquieta Draghi.

No alla “solita difesa d’ufficio”, ha scritto ieri pomeriggio Matteo Renzi in una lettera ai parlamentari della maggioranza, “dobbiamo avere il coraggio e la voglia di guardare la realtà. L’Italia ha tutto per farcela e per uscire dalla crisi. Ma deve cambiare”. E “la realtà” cui faceva riferimento il presidente del Consiglio era innanzitutto quella tratteggiata in mattinata dall’Istat: il prodotto interno lordo (pil) del nostro paese è sceso in terreno negativo anche nel secondo trimestre dell’anno. Meno 0,2 per cento rispetto al periodo gennaio-marzo, dopo essere già calato dello 0,1 per cento nei primi tre mesi. Due trimestri consecutivi col segno meno davanti vogliono dire “recessione”. Perché sia andata perfino un po’ peggio di quanto previsto da governo e analisti (che oscillavano tra meno e più 0,1), lo ha spiegato l’Istat. Primo, “diminuisce il valore aggiunto in tutti e tre i grandi comparti di attività economica: agricoltura, industria e servizi”. Seconda sorpresa negativa: “Dal lato della domanda, il contributo alla variazione congiunturale del pil della componente nazionale al lordo delle scorte risulta nullo, mentre quello della componente estera netta è negativo”. Non è bastato finora lo sgravio di 80 euro sui redditi più bassi per rilanciare i consumi domestici, né il solito export per puntellare la domanda estera.

 

In Borsa prendono nota: Piazza Affari ha fatto peggio degli altri listini europei, chiudendo a meno 2,7 per cento. Lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi è salito di 10 punti. Ma il premier all’apparenza non deflette: anzi, rilancia sulla revisione della spesa pubblica che è “ontologicamente questione politica, non tecnica, che non possiamo rinviare”. Sempre ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, intervistato dal Sole 24 Ore, aveva detto di escludere una “manovra aggiuntiva” sui conti pubblici: “Il 3 per cento del rapporto deficit/pil nel 2014, e anche nel 2015, non sarà superato”. Per Sergio De Nardis, capoeconomista di Nomisma, “questa congiuntura è frutto di assenza di domanda”, dice al Foglio. “Le riforme strutturali sono come Garibaldi, non se ne può parlare male. Ma se cerchiamo misure del governo in grado di incidere nei prossimi due trimestri, il massimo che possiamo auspicare è non fare una manovra correttiva che avrebbe ulteriori effetti recessivi”.

 

I meno renziani, nel Partito democratico, sghignazzano: il governo si potrà salvare solo grazie alla nuova contabilità Istat che da settembre terrà conto di una parte dell’economia sommersa nel computo del pil. I renziani invece osservano che ora, con le riforme istituzionali in tasca, la minaccia perenne di possibili elezioni costringerà i dissidenti a sghignazzare di nascosto e a sostenere il governo su riforme economiche radicali. “Provo prima ad aggiustare la mia automobile rotta nel deserto, o a raggiungere a piedi il pozzo d’acqua a 50 chilometri di distanza? Renzi, accelerando sulle riforme istituzionali, ha scelto la prima opzione, e contro molte aspettative sembra la stia portando a casa – dice al Foglio Giovanni Orsina, storico della Luiss ed editorialista della Stampa – Così ora diventa ragionevole ventilare la possibilità di elezioni per superare certi veti. Ragionevole, anzi probabile”.

 

Vuoi l’ottimismo innato del Rottamatore, vuoi la sua presunta strategia mefistofelica, al momento l’allarme per la recessione italiana sembra più alto nelle stanze del potere europeo che a Palazzo Chigi. Oggi il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, parlerà da Francoforte, dopo che a giugno aveva annunciato per le prossime settimane altre manovre espansive, in modo da evitare una spirale di prezzi al ribasso nell’Eurozona. Il problema è che per ogni manovra straordinaria annunciata spuntano avversari a volontà, specie nell’establishment “ortodosso” di alcuni paesi nordici.

 

Passi la creatività della Bce se l’euro è in pericolo, ma se il problema è di un paese solo, allora a Francoforte tutto si fa più difficile. E la stampa tedesca, in queste ore, è tornata a parlare dell’Italia come di un unicum: “Arrivederci Dolce Vita”, titolava ieri sul suo sito il quotidiano economico Handelsblatt. Per lo Spiegel “Italiens Premier hat viel versprochen, doch er erreicht wenig”: tante parole dal premier, pochi fatti. Richard Barley, commentando i dati sul pil italiano sul Wall Street Journal, ha osservato che gli interventi di Draghi “puntavano a cancellare le paure irrazionali di un collasso dell’euro, non il timore razionale che un paese non rispetterà le promesse fatte”. Roma, insomma, è un’eccezione o no? “Se si esclude la Spagna, che anche nel secondo trimestre ha superato le previsioni di crescita più rosee, il rallentamento europeo è visibile perfino in Germania – dice al Foglio Fabio Fois, analista di Barclays – Ma la posizione di partenza dell’Italia era peggiore, e non di poco”.