Edward Hopper (1882–1967), Study for Office at Night, 1940

Sei come prendere il tè in un formicaio

Mariarosa Mancuso

"Sai, uno di noi dovrà sposare Jamaica”, sussurravano gli scrittori nei corridoi del New Yorker. Dopo dieci anni di silenzio torna Jamaica Kincaid, piena di sassolini nelle scarpe da raccontare

"Sai, uno di noi dovrà sposare Jamaica”, sussurravano gli scrittori nei corridoi del New Yorker. La ragazza era arrivata da Antigua a sedici anni, per lavorare alla pari come babysitter, e viveva a Manhattan senza essere in regola con l’ufficio immigrazione. La sua famiglia era povera, l’unica cosa che poteva permettersi erano i nomi: fu quindi registrata all’anagrafe come Elaine Cynthia Potter Richardson. Lo cambiò in Jamaica Kincaid per non gettare disonore sui genitori, se avesse fallito come scrittrice. Non fallì.

 

Divenne la prediletta di William Shawn, dal 1952 al 1987 potentissimo e venerato direttore del settimanale. La portò all’altare il figlio del boss, Allen Shawn, incantato dalle sue lunghissime gambe e dai suoi bizzarri cappellini con le piume.

 


Divorziarono nel 2002, dopo aver messo al mondo due figli (nel frattempo lei si era convertita all’ebraismo: “Un rabbino mi spiegò che non saremmo andati tutti nello stesso paradiso”). “Vedi adesso allora” è il suo ultimo libro, scritto dopo dieci anni di silenzio letterario (esce da Adelphi). Splendido come i precedenti, da “Autobiografia di mia madre” a “Mr Potter”, a “Lucy”.

 

Chiacchieratissimo perché osa descrivere il consorte come uno che l’accusava di essere “scesa dalla nave delle banane, una strega di donna nata da bestia”. Se ne dicono di cose, quando si litiga e tuo marito vuole lasciarti per un’altra che “finalmente lo capisce”. Ma Mr Sweet – i nomi sono stati cambiati per proteggere i colpevoli – raggiunge i vertici dell’invettiva: “Sei come finire contro il filo spinato nel buio, sei come prendere il tè in un formicaio”.

 


“Il caro Mr Sweet la aborriva e spesso le aveva augurato di morire”, scrive Jamaica Kincaid. Aveva anche la malagrazia di paragonare la consorte a Charles Laughton, nel periodo dell’allattamento odiava “le due sacche piene di latte che ha sul petto”. Mormorìo nella buona società intellettuale newyorchese, per leso radical chic. Anche trascurando la ferocia degli insulti personali, il ritrattino di Allen Shawn compositore è degno di Tom Wolfe. “Era un uomo capace di capire Wittgenstein e Einstein e qualsiasi altro nome finisse con stein, Gertrude compresa”.

 

Adora Sostakovic, ma si riduce a suonarlo per un pubblico di Bennington, Vermont – la coppia, nella vita e nel memoir, andò ad abitare nella casa che era stata di Shirley Jackson, la scrittrice che nel 1948 con il suo racconto dell’orrore “La lotteria” fece disdire più abbonamenti al New Yorker di chiunque altro. Buzzurri, va da sé. Infatti si appisolano sulle poltrone: “La testa piombava in avanti, e si sforzavano di non ritrovarsi il mento sul petto, ma succedeva comunque, e allora trasalivano, si ricomponevano, deglutivano e tossivano”. Quando Mr Sweet compone, sono capolavori “indecifrabili per le persone mentalmente arretrate”. Vale a dire tutti, tranne gli amichetti di New York, “abituati ad applaudirsi a vicenda per le loro mirabili imprese”.

 

Intanto il postino consegna alla signora Sweet molte buste blu che contengono assegni guadagnati con libri e articoli: il consorte mugugna, lei ha la soddisfazione di chi il proprio mestiere lo sa fare davvero, a fronte del figlio di papà senza talento. Da brava scrittrice – se questi sono pettegolezzi, provateci voi a raccontare i fatti vostri con tanta crudeltà e sapienza da tragedia greca – Jamaica Kincaid si toglie con “Vedi adesso allora” un’ultima soddisfazione. Spolpa con gusto gli ossicini del pollo citando nel titolo del suo libro le memorie di Lillian Ross, la giornalista del New Yorker – celebre per un ritratto di Ernest Hemingway – che fu per quarant’anni l’amante segreta dello sposatissimo William Shawn. “Here but Not Here” era il titolo del libro, uscito nel 1998 (la signora Shawn senior era ancora viva). Il padrone del New Yorker – “benevolent dictator” secondo gli amici più cari – che aveva fatto installare in casa una linea privata per parlare con Lillian, non ne esce benissimo. I maligni sostengono che ad architettare la rivelazione sia stata Tina Brown, (odiatissima) direttrice del settimanale dal 1992 al 1998.

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