George Sanders, “George Gordon, sesto Lord Byron” (probabilmente ritratto al ritorno dalle isole Ebridi), 1807-’09 (Royal Collection Trust, Londra)

A letto con Byron

Giuseppe Marcenaro

I suoi versi infiammavano cuori e sensi femminili, la sua vita era una giostra di amori maschili e ragazzini. Una nuova biografia.

Ho conosciuto lord Byron, e sono profondamente delusa! Purtroppo è sempre così quando abbiamo sentito parlare tanto di qualcuno che non conosciamo o, peggio ancora, quando ci siamo costruiti un beau ideal di questi. Bisogna riconoscere che è un uomo notevolmente affascinante. Perché mai, allora, ha così deluso le mie aspettative? La ragione sta forse nel fatto che, riandando con la mente ad alcune parti delle sue opere che amo di più, non riesco a riconoscere la persona che ho incontrato con il loro autore… Non permetterò mai più, a me stessa, di idealizzare gli artisti che desidero conoscere. Ci sono, tuttavia, momenti in cui l’espressione di Byron è velata da un’ombra malinconica. Allora, in questi fugaci istanti, la sua espressione potrebbe essere quella di un modello del ‘poeta ideale’ per uno scultore o un pittore. La sua testa è particolarmente ben conformata: la fronte alta, indice di spiccata intelligenza; gli occhi sono grigi ed espressivi (uno è visibilmente più grande dell’altro); il naso, di profilo, è elegante, mentre visto di fronte, risulta piuttosto massiccio; le sopracciglia sono ben delineate e mobilissime. La bocca è perfetta”.

 

Al tempo di questo “ritratto”, Byron aveva trentacinque anni. Marguerite Gardiner Blessington lo incontrò il 1° aprile 1823, durante il viaggio in Italia compiuto con il marito, del quale a lei non importava nulla. Marguerite aveva la testa piena di fremiti letterari. E l’immagine che s’era fatta del poeta celebrato per bellezza e fascino, doveva muovere tutte le sue pulsioni di letteratina irlandese con tutti i quarti di furibonda ambizione e isteria da creatività. D’altra parte in qualche modo doveva esorcizzare la fanciullezza resa infelice dall’angoloso e violento carattere del padre: un piccolo proprietario terriero, poco più d’un contadino sia pur con un esangue blasoncino. La revanche di Marguerite fu la letteratura. Autrice di racconti s’avvitò alla scrittura con il piglio dell’arrampichina. La testa in fiamme per quel suo celebre contemporaneo per il quale tutte le femmine fremevano. Lettrici in perenne stato d’ansietà non soddisfatta. Vagheggiati sogni, declinati tra siderei rapimenti e ben dotati amanti. Un’aspirazione all’estasi del corpo mascherata da eteree aspirazioni come le atmosfere di certi dipinti di Carlos Schwabe, Félicien Rops e Odilon Redon i cui fremiti la poesia di Byron è inconscia anticipazione.

 

E non c’era voluto l’impeto del femminaio, già George Gordon lord Byron, a modo suo modernissimo, aveva pensato e agito da se medesimo a costruire la propria immagine. Di sciupafemmine, soprattutto. La fama galoppava in groppa alla poesia. A quei versi suoi che infiammavano. Alla loro mitizzazione. Dovuta anche a strepitose antologie di avvolgente propaganda (lui in vita e anche dopo la sua morte) tali da edificare un “modello Byron”, grande amatore di cuore e di letto. Insomma il beau ideal di maschio: affascinante e di viril possanza. Capace d’accendere le gradualità dell’erotismo femminile. Esempio “The Gallery of Byron Beauties. Portraits of the principal female characters in Lord Byron’s poems”. Con tutto il concorso di ritratti, ovviamente di donne sognanti e maliziose, a scandire scraps di versi tratti da “Childe Harold”, “Giaour”, “Corsair”, “Manfred”, “Don Jaun”… Ritratti raffiguranti “eroine poetiche”: Inez, Florence, Julia, Medora, Haidee, Katinka, Aurora… Insomma un harem, un gineceo di sublimità circonfuse di esibita “castità” artistica che lascia trapelare la più languida lascivia.

 

Quando lady Blessington intraprese il viaggio in Italia, anche per incontrarlo, Byron stava a Genova, a villa Saluzzo. Vi si era stabilito, dolente, dopo la tragica fine di Shelley, annegato in mare durante un improvviso fortunale. Il corpo, rinvenuto sulla battigia di Migliarino, nei pressi di Viareggio, fu cremato sulla spiaggia.

 

Byron era arrivato a Genova nel settembre 1822 con il solito “trasloco”: due enormi carrozze, con bauli, cani, domestici. Con lui, quella volta, viaggiavano Teresa Guiccioli, l’amante del momento, il padre e il fratello di lei. Della compagnia faceva parte la desolata Mary Shelley che avrebbe alloggiato in una villa poco lontana da quella di Byron. Il soggiorno genovese durò fino al luglio 1823 “finché intenso grido della greca libertà risorta nol traeva magnanimo a lacrimato fine in Missolungi”. In quel tempo Byron si era fatto coinvolgere dalla causa della liberazione della Grecia dal dominio turco. In attesa di preparare il viaggio per accorrere in soccorso dei patrioti elleni, riceveva vari personaggi di passaggio da Genova. Stendhal tra questi. E lady Blessington che dell’incontro scrisse nel suo “The idler in Italy”. Arrivò a Genova ansiosa: “Che dire di più? Sono nella stessa città con Byron! E, domani lo vedrò! Prima d’ora non ho mai avvertito un desiderio così imperioso: conoscere qualcuno a me noto soltanto attraverso la lettura delle sue opere. Domani sarà possibile che io incontri l’oggetto della mia passione…”.
E già s’è visto come andò a finire l’agognato rendez-vous. Byron risultò scontrosamente compassato. Sarà stato perché in casa c’era Teresa Guiccioli. E l’aspirazione ad avventure consimili a quella probabilmente vagheggiata dall’infoiata Blessington, non facevano più parte del suo universo. Stanco. Certo.

 

Vi sarebbe poi, passabile ragione del disinteresse del poeta per la lady in transito, da tener anche conto di un “universo byroniano”, poco noto allora. Una parte “segreta” della personalità del romanticissimo poeta che oggi viene svelata con documenti, al di là però di diffusi sospetti, in un poderoso volume, una biografia minuziosa e illuminante, dovuto a Vincenzo Patanè (“L’estate di un ghiro. Il mito di Lord Byron attraverso la vita, i viaggi, gli amori, le opere”, introduzione di Masolino d’Amico, Cicero, 570 pp., 22 euro).

 

Lord George Gordon Byron, come oggi è diventato di gran moda, non si sarebbe mai sognato di fare coming out. Insomma confessare in pubblico la sua fervida attrazione per i ragazzi. E del come gli piacesse invarigolarsi anche con loro. L’erotismo suo, spinto al parossismo, aveva una forte componente omosessuale. Patanè ricorda come durante la vita di Byron i pettegolezzi e le allusioni sulla sua omofilia fossero diffusi. Eppure le dicerie sulla passione soprattutto per “i frutti acerbi”, dopo la sua morte, andò via via sfocandosi, fin a sparire del tutto, lasciando campo alla leggendaria fama di tombeur de femmes. I rapporti avuti con uomini sfumarono. Se vi si faceva vagamente cenno venivano definite “amicizie amorose”.

 

Con le sue cinquecentosettanta pagine fitte, intricate di citazioni e riferimenti, Patanè attraversa tutti i Byron possibili. E si comincia a scoprirlo già dal testo introduttivo di Masolino d’Amico che anticipa il variegato pentagramma del volume. Byron minuto per minuto: la nascita, l’adolescenza, le parentele… la formazione e l’invenzione del proprio personaggio… i viaggi, la celebrità, la mondanità, la fuga dall’Inghilterra, l’Italia… E ancora: Byron e il matrimonio, le figlie, la scrittura, le case, il romanticismo e la satira, gli ideali di libertà e la bisessualità, i ragazzi, l’omosessualità tout court… Si dipana la nuvola degli intricati rapporti contrappuntanti una vera e propria “doppia vita”, le tante maschere di Byron. E nel controtipo dei decantati versi, dispieganti il gentil sesso, in specularità le “ombre” dei puberi, dei compagni di studi e di baldorie, le occultate malizie condivise con giovani uomini, avvitandosi il bel George nelle varie cadenze dell’amore omofilo, vissuto nei sogni e nella sostanza. E’ tutta una slavinata di infatuazioni, vapeurs, colpi al cuore, avventure di un momento, una botta e via, senza pentimento, cogliendo l’occasione per evitare che “ogni lasciata andasse perduta”. Altro che female in “The Gallery of Byron Beauties”. Semmai “Portraits of the principal male characters in Lord Byron poems”. E questo catalogo di “disponibili” implumi, belli, conturbanti, maliziosissimi che lo sguardo prensile di Byron, pronto al fastsex, già s’illuminò da un’opera del 1985, che Patanè richiama come fondamentale, “Byron and Greek Love – Homophobia in 19th Century England”, dovuta a Louis Compton. E ancor più “Byron, Life and Legend”, di Fiona MacCarthy, pubblicato nel 2003, in cui si sottolinea come la cortina di curiosa omertà che da sempre ha protetto “l’onorabilità etero” di Byron non avrebbe proprio più ragione di sussistere. In generale per l’abolizione nel 1967 in Gran Bretagna della legge che perseguiva e criminalizzava l’omosessualità; e più in particolare, dopo due secoli, l’apertura degli archivi dell’editore Murry ove si conservavano molte lettere riservate di Byron. Il profluvio degli svelamenti. Tali da far “collocare” l’inizio del sexcursus di Byron attorno ai quindici anni quando tentò di irretire Lord Grey de Ruthyn, affascinante ventiquattrenne verso cui aveva provato una inconclusa attrazione anche sua madre.

 

Impossibile far congetture sul fatto. Lord Grey sparì dalla vita di Byron. Non si può sapere cosa sia avvenuto. Della rottura Byron ne scrisse alla sorella: “Non mi sono riconciliato con Lord Grey, né mai lo farò. Una volta per me era il mio Più Grande Amico, le ragioni per cui ho cessato l’amicizia non le posso dire, esse rimarranno sempre nascoste nel mio petto”. Forse non basterà questa confessione “di caduta di Lord Grey dal cuore” di Byron a soddisfare curiosità voyeuristiche per avere conferma di “fatti intimi” consumati in qualche deserta brughiera. Certo è che di “tira e molla”, di vapeurs, di desolanti abbandoni e di “non vorrò vederlo mai più”, le lettere di Byron sono zeppe. E non solo le lettere. L’opera di Byron poeta “allude”. Nel suo libro Patanè lo esplicita: “Byron provò una fortissima attrazione verso i ragazzi: nel ‘Don Juan’ li definirà ‘frutti acerbi’ che ‘eccitano il flusso del sangue libidinoso nelle vene’”. E se ne potrebbe compilare un catalogo di amici del cuore, specie al tempo del college, verso i quali un infoiato Byron furoreggiò, corrisposto, con specialmente rampolli di importanti famiglie aristocratiche: John Fitzgibbon, Conte di Clare; George John Frederick Sackville, Duca di Dorset; George John Sackville-West, Conte di Delaware. E Byron inviava lettere: “Dici che ti mancherò terribilmente. Non ne dubito, perché chi avrai a confortarti nelle pene e chi ti svestirà quando vai a letto… con chi farai il bagno, chi farà tutto con te?”. “Non credere che continuerò sempre a supplicarti (quando ti piacerà di soddisfare un capriccio) o a fare quello che fanno gli altri ragazzi per riguadagnarsi la tua amicizia…”. “Giacché l’ho sempre amato più di qualsiasi altra cosa al mondo, è quasi superfluo dirti quale malinconico piacere sia stato per me incontrarlo per un giorno solo”. A John Edleston, un corista dal volto angelico, biondo, gli occhi scuri, Byron donò come pegno d’amore una corniola, rossa, a forma di cuore. Byron soprannominò l’efebico corista “il mio Cornelian” [corniola]. Quell’amorosa avventura diventò una poesia, “The Cornelian”: “… Ne son certo, mi ha amato…”.

 

Non rimane che l’imbarazzo della scelta. A Charles Skinner Matthews “rintracciabile” nel secondo canto del “Childe Harold’s Pilgrimage”: “… Oh amato e amabile! / Che la Gioventù e i Giovani affetti legavano a me; / che facesti per me ciò che nessun altro ha mai fatto…”. Per poi cercare un inutile depistaggio: “La strofa allude a un evento che ho appreso, e non alla morte di qualche mio amico maschile…”.

 

Attorno a Matthews e Byron s’era formata una bella accolita di sexesteti. Comunicavano tramite codici. Ricorrente la formula “pl and opt CS”, un logogrifo che stava per “plenum et optabilem coitum”, elegante riferimento alle variabili sodomite nel “Satyricon” di Petronio. A parte le raffinate ed eccentriche cautele, a Byron era impossibile occultare la propria inesausta ricerca di sesso. Viveva il delirio del corpo, travalicando i generi. Frequentava i bordelli, in compagnia del suo amante di turno. Fosse pure un domestico come William Fletcher che faceva dormire in una stanza, “la stanza stregata”, accanto alla sua. Il fedele Fletcher che condusse con sé nei suoi viaggi per l’Europa, verso il sud, alla ricerca di quelle esperienze proibite in patria, praticate “al buio”, e che Byron, ritenendole normalissime esperienze dell’eros, desidera vivere alla luce del sole.

 

Byron fu in Portogallo, Spagna, Grecia, in medio oriente. Ali Pascià Tepeleni, ex brigante e poi governatore di Ioànnina, lo ospitò tra opulenza e lussuria, offrendogli sontuosi pranzi e ragazzini. Si fece sedurre dal figlio del Visir, mentre Fletcher si appartava con Nicolo Argyri, un greco bellissimo che parlava italiano. A Hobhouse, amico d’antica complicità, Byron scriveva: “Ho collezionato più di duecento pl and opt CS, che sono quasi stanco”.

 

Si può ancora sorprendere Byron a Venezia, la città che nel suo “Marino Faliero” definì “Geenna delle acque, Sodoma dei mari”. Da lui celebrata per la disponibilità dei molti giovani gondolieri, studenti e “putei”. Irruente e scapestrata durante il carnevale, Venezia era l’accogliente enclave dove la sodomia non era censurata. E l’omosessualità di tutta Europa pioveva sui canali.

 

C’è poi il rapporto che Byron ebbe con Shelley, il poeta a lui legato per fama letteraria. Soprannominato il mad Shelley, Percy Bysshe, nel 1811, era stato espulso da Eton. Aveva fatto circolare negli austeri ambienti del college un suo pamphlet: “The Necessity of Atheism”. Sposata segretamente Harriet Westbrook, figlia di un caffettiere, Shelley si abbandonò a una vita errabonda. La coppia cambiava continuamente paese. Nel frattempo erano nati due figli. Approdarono a Dublino dove Shelley conosciuta Mary Godwin fuggì con lei, piantando in asso moglie e infanti. Da Troyes scrisse alla moglie invitandola a raggiungerli. Sarebbero stati tutti insieme. “Da nessuno puoi aspettar questo se non da me, tutti gli altri sono insensibili o egoisti…”. Non dubitava minimamente accogliesse l’inusitata proposta. Qualche tempo dopo Harriet fu ripescata nella Serpentina di Hyde Park. Annegata.

 

Mentre in patria si consumava la tragedia, Percy e Mary trascorrevano moltitudini di lune di miele in un cottage a Montalègre, sul lago di Ginevra. Lord Byron abitava una villa poco lontana. Stava scrivendo il terzo canto del “Childe Harol”. Shelley nel suo diario annotò come, soli, durante un’escursione di alcuni giorni sul lago di Ginevra, lui e Byron si scambiassero rose e, l’un l’altro, si chiamassero “il mio compagno”. Si può immaginare allora il clima a villa Diodati, la dimora di Byron, quando la combriccola, costretta in casa dal tempo poco clemente, inventò per noia un gioco. Avrebbero immaginato ognuno un racconto dell’orrore. Shelley scrisse “The Assassins”, Byron “The Burial”, mai compiuto. Il dottor William Polidori, altro amico che passava da quelle parti, si dilettò con “The Vampyre”, inserendovi elementi di “Glenarvon”, un romanzo di Caroline Lamb in cui Byron è modello del personaggio centrale: assassino delle sue amanti, rapito dal diavolo e trasformato in spettro delle vittime. Mary, coinvolta nell’orrorifico gioco, iniziò “Frankenstein”, tra le quattro l’unica opera condotta a termine. Quando Mary Godwin e Percy Bysshe Shelley tornarono in Inghilterra, viaggiavano con il loro bambino William di pochi mesi e la sorellastra di Mary, Claire Clairmont, anche lei della combriccola svizzera, incinta di Byron e subito abbandonata. Sarebbe nata una bimba, Allegra, trascinata per un po’ da Byron nei suoi tour. Affidata poi a un convento di suore a Bagnacavallo dove morì.

 

Il tempo preparava altre “storie”: per i due Shelley il viaggio a Roma, l’approdo a villa Magni a Lerici. Tra non molto la tragica morte in mare di Percy. Per Byron, Ravenna e Pisa dove si era creato, proprio attorno a Byron e Shelley, un vero e proprio club di aficionados dell’amor greco di cui facevano parte Thomas Medwin, Edward Ellerker Williams e Edward John Trelawny, con soci “corrispondenti” due strettissimi amici di Shelley, Thomas Jefferson Hogg e Thomas Love Peacock. Shelley scriveva alla moglie: “C’è anche Fletcher… come il suo padrone ha riacquistato una bella cera, e tra i precoci capelli grigi gli sono spuntate nuove ciocche bionde”.

Di più su questi argomenti: