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Tutti i dilemmi d'Israele

Giulio Meotti

C’è una espressione che riassume la strategia di Israele a Gaza: “Tagliare l’erba”. Quando il nemico si fa aggressivo, si taglia l’erba. Il consulente di Netanyahu ci spiega la lunga guerra d’attrito a Gaza.

C’è una espressione che riassume la strategia di Israele a Gaza: “Tagliare l’erba”. Quando il nemico si fa aggressivo, si taglia l’erba. Quando ricresce si torna a tagliarla. “E’ la ‘long war strategy’ di Israele”, ci dice Efraim Inbar, stratega fra i più ascoltati, capo del Besa Center e consulente ufficioso del premier Benjamin Netanyahu.

 

Ieri Israele ha accettato una nuova tregua umanitaria, mentre aggiungeva altri tre soldati alla conta dei propri caduti. Fra Hamas e Israele rimbalzano le accuse per una bomba in un mercato a Shejaiya (quindici i morti palestinesi).

 

“Hamas, Jihad islamico e salafiti vedono Israele come un’aberrazione teologica”, ci dice Inbar. “Il fanatismo di questi gruppi, l’ideologia radicale e la loro strategia a lungo termine della violenza porta a un conflitto irrisolvibile. E’ impossibile distruggere Hamas, come è impossibile distruggere i Talebani in Afghanistan. Puoi infliggergli un colpo durissimo, ma sono parte della popolazione. Basta un trenta per cento di fedeli per creare un regime omicida come quello di Gaza”. Che fare allora?

 

La domanda sta dividendo il gabinetto di sicurezza di Netanyahu e l’Idf, l’esercito israeliano. Ieri, sulla stampa in lingua ebraica sono uscite le critiche di alti ufficiali a Netanyahu. “O andiamo avanti o dobbiamo ritirarci”. Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, quello dell’Economia Naftali Bennett e dell’Interno Gideon Saar chiedono al premier di andare fino in fondo, fino a Jabalya, il cuore del potere di Hamas. “Non dobbiamo togliere il piede dal gas”, dicono gli ambienti vicini al capo della diplomazia israeliana. Efraim Inbar non è d’accordo. “Israele non ha una strategia, ma soltanto tattiche. Hamas ha pagato un prezzo sufficiente? Se sì e il regime islamico resta in piedi, Israele deve basarsi sulla deterrenza. Il governo sta pensando a occupare parti strategiche della Striscia senza per questo prendersi in carico la vita dei palestinesi. Potrebbe essere una soluzione. E se decide di andare fino in fondo, sarà in gioco la vita di tanti soldati, l’amicizia con l’America, l’opinione pubblica interna”.

 

E’ il dilemma di Netanyahu. “Il successo di Israele finora è stato il suo sistema di difesa missilistico, che ha permesso al fronte interno di mantenere la normalità. Israele ha mostrato determinazione per le operazioni a terra, nonostante le vittime. La maggioranza della popolazione sa che non possiamo abbandonare i kibbutz del sud. E che questa, come altre, è una guerra senza scelta”. Hamas non sta sanguinando abbastanza. “Israele ha distrutto la sua prima linea di difesa, i tunnel. Ma gli uomini, le armi pesanti e i macchinari per fabbricare i missili sono tutti nel nord. La vera battaglia per Gaza deve ancora iniziare e forse non inizierà. Perché è un conflitto irrisolvibile e prolungato. Non c’è soluzione politica”.

 

Hamas può essere rovesciato, ma le alternative sono peggiori: “Il controllo israeliano, gruppi più radicali, o il caos. Nessuna delle tre è una alternativa. Il governo ha saggiamente definito obiettivi politici e militari limitati per l’offensiva. Nel lungo termine si tratta di logorare le capacità del nemico. Distruggere i tunnel era un obiettivo militare raggiungibile”.

 

La storia sembra dare ragione a Inbar. Da quando ha lasciato Gaza nel 2005, Israele ha già condotto tre operazioni militari limitate. “E’ la strategia militare che è cambiata”. Fino a dieci anni fa, Israele non aveva misure difensive, oggi è sotto gli occhi di tutti il successo della barriera “Iron Dome”. Inoltre oggi l’aviazione, come ha detto il suo comandante Amir Eshel, “è in grado di colpire in meno di 24 ore gli stessi obiettivi che nel 2006 distrusse in trentatré giorni”.

 

Come Inbar la pensa il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, che giorni fa derideva il “soluzionismo” degli Stati Uniti. Il paradosso è che la sinistra militare, guidata dall’ex capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, e dal generale Amos Yadlin, spinge per distruggere Hamas e salvare il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen, e con lui la soluzione a due stati. “Ma il presidente dell’Anp non metterebbe mai piede a Gaza, verrebbe impiccato al primo palo”, ci dice Inbar. “E’ l’utopia della sinistra, come quando riportarono Arafat da Tunisi a Gaza pensando di avere in cambio la pace. Il pensiero occidentale è orientato alla soluzione. Ciò spiega parte della mancanza di comprensione per ciò che Israele sta facendo. Una guerra di logoramento contro Hamas è probabilmente il destino di Israele per il lungo termine. Lo scenario più probabile è un periodo di calma, Hamas che si riarma, ricalibra la sua strategia e attacca di nuovo Israele. E noi tagliamo l’erba”.

 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.