Il segretario di stato americano John Kerry (foto AP)

L'“alieno” americano a Gaza

Benjamin Netanyahu ha risposto ieri alle richieste dell’America di una tregua umanitaria “senza condizioni” invitando a “prepararsi a un’operazione prolungata a Gaza”, perché “non c’è una guerra più giusta di questa”. Smentite, leak e faide interne sull’asse Obama-Kerry-Netanyahu.

New York. Benjamin Netanyahu ha risposto ieri alle richieste dell’America di una tregua umanitaria “senza condizioni” invitando a “prepararsi a un’operazione prolungata a Gaza”, perché “non c’è una guerra più giusta di questa”. La posizione del primo ministro di Israele inasprisce il confronto con Washington dopo un fine settimana di complicate turbolenze sull’asse Obama-Kerry-Netanyahu. Nella telefonata di domenica con Netanyahu, Barack Obama ha detto che “sostiene l’iniziativa dell’Egitto”, ha parlato di “smilitarizzazione di Gaza” e ha fatto una netta distinzione fra aggressori e aggrediti: “Il presidente ha sottolineato la condanna degli attacchi di Hamas con i razzi e i tunnel e ha riaffermato il diritto di Israele all’autodifesa”. Detto altrimenti, Obama ha smentito su tutta la linea o quasi il suo segretario di stato, John Kerry, inviato con urgenza per negoziare i termini di una tregua. L’ipotesi è collassata perché la bozza presentata da Kerry al gabinetto israeliano “sembrava scritta da Khaled Meshaal”, leader politico di Hamas, come ha scritto l’opinionista Barak Ravid, sintetizzando con un’iperbole il senso di frustrazione che circola fra i funzionari di Gerusalemme.

 

La proposta non citava la smilitarizzazione e nemmeno i tunnel di Hamas. Il diritto alla sicurezza di Israele era accennato soltanto en passant, mentre era chiaro che l’accordo prevedeva l’apertura dei valichi della Striscia e una sospensione dell’embargo. Fra i mediatori non compariva l’Egitto, rimpiazzato da Qatar e Turchia, uno ospite della leadership politica di Hamas, l’altro tambureggiante antagonista di Israele, che il primo ministro Erdogan definisce “dieci volte peggio del regime nazista” e altre variazioni sul tema. La proposta di Kerry ha fatto imbestialire il gabinetto di sicurezza israeliano, innescando un guazzabuglio che ha portato alla smentita americana della presentazione della bozza, mentre Israele ne passava copie ai media accompagnate da retroscena al vetriolo. Ieri il dipartimento di stato ha detto che “non è così che ci si tratta fra alleati”.

 

A quel punto, riferiscono i media israeliani, il governo di Netanyahu ha deciso di evitare di mettere in imbarazzo gli Stati Uniti con un rifiuto formale delle condizioni poste dal segretario di stato – che nel frattempo si faceva immortalare a Parigi con i ministri degli Esteri di Qatar e Turchia – ma ha chiesto un chiarimento privato con Washington, avvenuto con la telefonata fra il primo ministro e Obama. Il colloquio ha sancito la distanza fra la posizione della Casa Bianca e quella di Kerry, circostanza nient’affatto inedita, visti gli screzi interni all’Amministrazione su diversi dossier di politica estera. Il caso di scuola è quello della Siria, dove la posizione interventista di Kerry, fustigatore dell’“oscenità morale” del regime di Assad, si è scontrata a lungo (e invano) con l’attendismo del presidente.

 

Il quotidiano israeliano Haaretz definisce Kerry “un alieno che ha appena parcheggiato la sua navicella spaziale in medio oriente” e, secondo una ricostruzione del New York Times, quando Egitto e Israele hanno iniziato a discutere di un piano per  il cessate il fuoco, Gerusalemme ha detto a Washington di non gradire un ennesimo round di “shuttle diplomacy” da parte di Kerry. Il rapido crescere del numero di vittime civili ha rimesso in moto il segretario – colto da un microfono che credeva spento a deprecare la reazione eccessiva di Israele – il quale ha cercato altre sponde diplomatiche dopo il naufragio dell’ipotesi egiziana, nonostante l’aperto dissenso di Israele e dell’Arabia Saudita. Lo spostamento ha determinato la reazione di Gerusalemme, alimentata nel fine settimana da leak e dichiarazioni anomine. Anche chi in Israele aveva censurato gli aggettivi che il ministro della Difesa Moshe Yaalon aveva riservato mesi fa a Kerry, uomo “apocalittico e messianico”, ora non li considera più del tutto peregrini. Soprattutto, la conduzione delle trattative dell’“alieno” Kerry dà l’impressione che l’America non parli con una voce sola in medio oriente. All’intraprendenza diplomatica forse imprudente del segretario di stato fa da contraltare Obama, il quale chiede un “cessate il fuoco immediato e senza condizioni” ma infarcisce le dichiarazioni di condizioni caldeggiate da Netanyahu e legittima l’impegno dell’Egitto di al Sisi nella mediazione. La settimana scorsa gli egiziani avevano costretto Kerry e il suo staff a passare i controlli della sicurezza all’ingresso del palazzo presidenziale, immagine che rende meglio di molte bozze e memorandum il clima dei negoziati.

Di più su questi argomenti: