L'albero delle arance amare

Federica Bassignana

La recensione del libro di Jokha Alharthi edito da Bompiani (192 pp., 18 euro)

Ci sono legami che scegliamo e legami che ci scelgono. Al di là del sangue, per contingenza o semplicemente per gioco di un destino che lancia i dadi e sa guardare più lontano di noi. Jokha Alharthi, nel suo ultimo romanzo L’albero delle arance amare, racconta la storia di Zuhur, ragazza omanita che studia in una fredda città del Regno Unito. Lontana da casa sua, ha lasciato Bint ‘Amir, sua nonna adottiva, sua sorella Sumaya, che una volta era una “Dinamo” ma poi ha smesso di girare, bloccata in un matrimonio da cui non riesce a scappare, la sua famiglia, la sua cultura e la sua lingua. E si sente intrappolata: in una lingua non sua e nei sensi di colpa. La nonna è morta poco dopo la sua partenza, quando le aveva chiesto di non andarsene, e tra il suo ricordo e la sua storia, cerca di tenere insieme i pezzi di un io frammentato.

Tra salti temporali, l’Oman degli anni Cinquanta che scandisce il passato della sua famiglia e il presente, dove c’è la vita universitaria, l’amica Surur che non è nata per innamorarsi e la sorella Kuhl, che invece per amore sfida l’ostilità della famiglia. Ci sono le sedute in terapia di Zuhur – perché in occidente c’è una soluzione per ogni cosa, anche per la tristezza – dove osserva le sue ferite e la rete che la tiene stretta. Tra abbagli, ricordi e racconti, Zuhur ripercorre le sue radici e la vita di Bint ‘Amir. “Quando Dio toglie una cosa ai suoi servi, li ricompensa con un’altra”, diceva sua nonna, che della privazione ha conosciuto suono e significato. Soprattutto, il prezzo. Lei che non ha mai posseduto né un pezzo di terra, né un albero e che avrebbe dato qualsiasi cosa per essere una contadina. Lei e le sue rughe che segnano un tempo di fatica e di dedizione, le sue lunghe gambe dietro cui si sono riparati tutti i nipoti, il petto che li ha accolti nel sonno. Lei che ha amato senza condizione alcuna ed è “uscita dal mondo così come ci aveva vissuto, senza una casa, senza un terreno, senza un innamorato che la stringesse a sé, senza un fratello che si prendesse cura di lei, senza figli che fossero nati dal suo ventre”.

In una narrazione intima e delicata, Alharthi offre un racconto di vite che si intrecciano e che si allontanano come un aquilone che prende il volo, che si può impigliare, strappare, essere in balìa del vento e precipitare verso la terra, e a ogni essere umano viene consegnato il filo che lo comanda. A ognuno il suo filo, la sua storia, la presa che sa trattenere o lasciare andare.

   

Jokha Alharthi 
L’albero delle arance amare
Bompiani, 192 pp., 18 euro

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