Una fogliata di libri

La preferenza per il primitivo

Giulio Silvano

La recensione del libro di Ernst H. Gombrich edito da Einaudi (380 pp., 35 euro)

Difficile non trovare in qualche casa di amici, o sui tavoli delle Feltrinelli, il suo The story of art, bestseller che ha venduto oltre 6 milioni di copie, ed è comune trovare uno storico – e non solo dell’arte – che ha sentito l’influenza del suo Art and illusions, ma poco invece si è parlato di questo La preferenza per il primitivo di Ernst H. Gombrich, uscito nel 2002 e portato ora in Italia da Einaudi (a cura di Lucio Biasori, traduzione di Valentina Palombi). Gombrich, fuggito con l’arrivo dei nazisti dalla Vienna borghese e artistica, dove i genitori erano amici di Mahler e Brahms, ha passato gran parte della sua carriera a Londra, al Warburg Institute, e questa è la sua ultima opera. Meno divulgativo e meno ordinato dei suoi altri scritti, La preferenza per il primitivo, terminato poco prima della morte, pone la domanda: come mai nell’uomo prevale un fascino per ciò che è primitivo quando si parla di opere d’arte? Da Cicerone a Picasso, da Platone a Burke, l’autore analizza diversi scritti e prospettive di chi ha cercato prima di lui di capire perché le manifestazioni, i tratti, i soggetti più antichi, o percepiti come tali, toccano delle corde che riscuotono maggiore fascinazione. Lo dice già Cicerone quando scrive che “le cose che riescono più gradite ai nostri sensi e più fortemente ci colpiscono al primo apparire, sono proprio quelle che più presto ci danno fastidio e ci stancano”. Già per i romani l’opera arcaizzante è più bella di quella nuova, che può essere interessante all’inizio – l’interesse per la novità – ma che, col tempo stufa. La semplicità, termine usato da molti degli autori citati nel libro, piega l’inclinazione estetica e ci fa preferire ciò che appare più elementare, più genuino, più primitivo, appunto, rispetto a ciò che invece diventa al secondo colpo d’occhio, decadente, a ciò che ci sembra troppo elaborato. Un po’ come la coolness nelle persone. A volte uno scarabocchio può sembrarci più bello, più “artistico” di un elaborato dipinto. Una maschera africana più attraente di un affresco. Queste “fughe all’indietro”, come le chiama il curatore del libro, sono ritmiche nel corso della storia dell’arte e mostrano la ciclica – dice Gombrich – “repulsione nei confronti di quella perfezione verso la quale si riteneva che l’arte dovesse tendere”. E, per fare anche solo un esempio, cos’è il Rinascimento se non un recupero della civiltà greca e romana classica, un riappropriarsi delle forme antiche considerate perfette?

   

Ernst H. Gombrich
La preferenza per il primitivo
Einaudi, 380 pp., 35 euro

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